Speciale USA: birra a stelle e strisce

The enthusiastic tourist in a white shirt in Monument Valley. The famous monolith of red sandstone - Mittens.

Dopo una crescita vorticosa delle artigianali, oltreoceano si è registrato un calo della quota di mercato dovuto ai lockdown. Ciò non ha impedito però l’aumento numerico dei birrifici, arrivati a 9.000, e per la fine del 2022 un superamento dei livelli produttivi del 2019

di Tealdo Tealdi

La Historic Route 66, di fronte a noi, sembra in ghiottirci e non basta il poco traffico a non farci sentire soli, quasi abbandonati e persi come in un altro pianeta: miglia e miglia di deserto, quello del Mojave, con pochissime abitazioni e le croci che segnano i luoghi degli incidenti stradali e delle relative perdite umane. Per fortuna all’orizzonte si stagliano alte montagne che indicano la meta del nostro viaggio: il Grand Canyon. Il viaggio da Los Angeles è decisamente lungo, ma il fascino che emanano questi luoghi ci fa sopportare qualche difficoltà. Certo che dall’ultima volta che l’ho visitato, a metà degli anni Novanta del millennio scorso, molte cose sono cambiate e, come sempre, alcune in meglio, altre in peggio. Per quanto riguarda uno dei motivi che allora mi aveva portato qui, un’analisi del crescente fenomeno delle micro-birrerie, in quegli anni appena agli inizi. La situazione si è evoluta al di là di ogni più rosea prospettiva, anche se la recente pandemia ha lasciato profonde cicatrici. Molte aziende sono state costrette alla chiusura spostando i consumi, a causa del lockdown, dalla spina alla vendita in bottiglia e soprattutto in lattine, pur con una carenza di alluminio. «La percentuale sulla produzione totale di birra delle craft breweries e brew pubs è molto aumentata – ci ha detto Bart Watson, chief economist della Brewers Association. – Nel 1995 la percentuale di mercato sulla produzione totale doveva essere intorno al 2%, in quanto nel 1998, anno in cui abbiamo le prime statistiche, era del 2,6%. Nel frattempo, la quota è cresciuta moltissimo, per raggiungere il 13,6% nel 2019, per poi calare nel 2020 al 12,3%. Da un punto di vista economico la discesa è stata ancora più marcata: dal 25,2% nel 2019 al 23,6% nel 2020, calo dovuto alla diminuzione di vendite all’interno dei locali delle birre alla spina. Numericamente invece la crescita è stata impetuosa: da 794 nel 1995 (858 comprendendo quelle più grandi, cioè con produzione superiore a 170.000 hl) a 4.803 nel 2015 e 8.764 nel 2020, (8.884 includendo quelle più grandi). Da un punto di vista occupazionale il Covid 19 ha inciso pesantemente, in quanto nel 2019 gli occupati erano 160.000, scesi a 138.371 nel 2020 a causa della chiusura di molte aziende». Nonostante la pandemia, le ultime cifre disponibili dalla Brewers Association indicano che più di 9.000 birrifici hanno operato negli Stati Uniti nel 2021, con un aumento del 6% rispetto al 2020, e che nel 2022 la produzione artigianale supererà quella del 2019. Però le vendite del prodotto alla spina saranno ancora inferiori a quelle di 3 anni fa e, pur prevedendo una crescita ulteriore del numero di birrifici, sarà a un tasso più contenuto di quello dell’ultimo anno. Inoltre, l’inflazione porterà a un aumento dei costi di produzione e di birrificazione con un’impennata dei prezzi medi della birra rispetto agli ultimi anni. Qualitativamente e come gamma di prodotti, il fenomeno delle craft breweries ha generato un netto miglioramento nel settore e le birre industriali, a basso grado alcolico, spesso molto gassate e con un gusto livellato, hanno lasciato il posto anche a prodotti ad alta fermentazione e gradazione alcolica tipici della birra belga o irlandese, come le varie Stout, o tipicamente inglesi, come le Bitter, o tedesche, come le Alt, o le Wheat Beers non filtrate, che potevano contare su masse di immigrati provenienti dall’Europa. Si è passati così dalla guerra sul prezzo, l’unica permessa, a una salutare diversificazione. Charles Finkel di Seattle, uno dei pionieri ci disse allora: «Quando diversi anni fa iniziai a importare vino dall’Europa, gli americani non sapevano la differenza tra uno Chablis e un Cabernet, ora sono passati a degustare ottimi vini, soprattutto la sera, al posto del classico whisky d’importazione o whiskey locale. Noi presentiamo birre al cui sapore non sono abituati, ma della cui qualità siamo sicuri, e lo facciamo come deve essere fatto».Da un punto di vista occupazionale si sono create importanti opportunità, creando molti posti di lavoro, proprio in zone che non offrivano sbocchi lavorativi.

 

 

Bart Watson, chief economist della Brewers Association

 

 

 

Fare birra nel Grand Canyon

Così è stato per esempio per il veterano della Marina John Peasley, che, nel 2003, volendo tornare nei luoghi della sua infanzia, comprò a Williams, Az, il suo primo locale: il White Horse Post and Cruisers Route 66 Café. Obbedendo al suo mantra: il mondo è tuo e ti aspetta, così esci e vai alla sua esplorazione, John dopo poco non si accontentò più e decise di fondare la Grand Canyon Brewing Company, per rendere omaggio, come dice lui, “al panorama mozzafiato e al tipo di vita avventuroso di Williams”. In effetti, locali del genere non esistevano e la meraviglia della natura, proprio a un passo, serviva da attrattiva unica, dando grande impulso al lavoro. Comunque dopo una decina d’anni e con prodotti già distribuiti a Phoenix e Tucson, la produzione non era più sufficiente per soddisfare la crescente domanda, così John decise di ricollocare la birreria dove è adesso, a circa un miglio dalla posizione precedente. Questo permise, oltre a un ampliamento della produzione, un miglior controllo della qualità, la creazione di una suggestiva sala con camino, il cui decoro era allo stesso tempo accogliente, anche se rustico, un bancone con le spine, una cucina completa, oltre a dare al cliente la reale sensazione visiva di uno degli assiomi più validi e, in questo caso, senza alcun dubbio: il consumo a km zero.

Due e tre

Ma John non è uno abituato a dormire sugli allori e l’impossibilità di creare piccole produzioni di birra stagionale e la volontà di utilizzare al massimo le attrazioni naturali del posto, ha spinto, nel 2019, alla creazione a Flagstaff, sempre in Arizona, a poco più di 30 minuti in auto, di un secondo birrificio con una produzione più limitata, con annesso bar e area ricreativa. Oggi il nome completo è diventato Grand Canyon Brewing + Distillery in quanto la produzione, oltre alla tradizionale birra e distillati, si è allargata ai cocktails ‘ready to drink’. Ma una terza unità produttiva è in arrivo, trasformando una sede di vigili del fuoco di Page, in una terza birreria, in quello che un gioco di parole molto azzeccato dice: da firehouse a brewhouse! Quasi 1.000 mq su una superfice totale di 34 ha, con ristorante, bar, area di sosta, due biliardi e altrettanti biliardini, un campo di bocce e 20 TV. Il tutto, secondo John, “per godere delle bellissime condizioni atmosferiche e dell’incomparabile scenario” (attenzione, però, all’impatto sull’ambiente).

John Peasley, fondatore della Grand Canyon Brewing Company

Fantasia al potere

La moda tipicamente americana di cambiare, dicono certi, di rovinare, dicono altri, tradizioni e ricette iconiche, ne sappiamo qualcosa noi italiani che vediamo stravolte molte specialità nostrane, può incidere negativamente sul prodotto, pur senza eccepire sulla qualità intrinseca e singolare dei suoi componenti. Nei miei lunghi peregrinaggi, anche alla ricerca della ‘birra perfetta’, mi sono imbattuto in prodotti particolari, che a prima vista non ispiravano molta fiducia, ma che poi, messi alla prova, non erano così male, basta lasciare aperta la mente (eil palato) alle novità, in ottemperanza a una parola d’ordine, di cui, soprattutto i giovani birrari americani sono, per una buona parte, all’oscuro: la fantasia al potere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Appuntamenti

A Minneapolis il 5 maggio si tiene il World Beer Cup, prestigio concorso creato da Brewers Association nel 1996 e considerato l’Olimpiade del settore. La sua importanza è andata crescendo esponenzialmente. Alcuni numeri? Nel 2018, oltre 8.200 birre partecipanti di 2.500 birrifici. Per la prossima edizione si prevedono oltre 11mila birre da quasi 2.700 birrifici, poco meno di un terzo provenienti dall’estero.
www.worldbeercup.org

 

 

 

 

 

 

 

Invece a Denver, in Colorado, dal 6 all’8 ottobre si terrà la 40^ edizione del Great American Beer Festival, il più importante festival birrario del Paese. www.greatamericanbeerfestival.com

 

 

 

NEW TREND

Il consumatore di birra americano si sta evolvendo. «La capacità dei birrai artigianali di rischiare e innovare i sapori ha reso gli Stati Uniti la capitale mondiale della birra artigianale e non vedo l’ora di vedere cosa porterà il prossimo anno ai birrai e agli amanti della birra» ha detto Bob Pease, CEO di Brewers Association. In particolare, sono esplose le vendite di IPA e, soprattutto New England IPA, ma anche le sour stanno ottenendo buoni risultati sottraendo vendite alle birre in classico stile belga.

LA VALLE DELL’ORO VERDE

Negli Stati Uniti d’America, per la precisione nello Stato di Washington, la Yakima Valley è senza dubbio un luogo interessante per gli appassionati di birra. Da qui proviene, infatti, il 75% del luppolo USA, coltivato in questa regione del Nordovest che gode di un microclima ideale: oltre 200 giorni di tempo soleggiato all’anno e un terreno fertile. La ricchezza e varietà di prodotti locali, assieme alla disponibilità di luppolo fresco, ha favorito la nascita di mercati locali, ristoranti e birrifici, frequentatissimi dagli abitanti dei principali centri urbani limitrofi, tra cui la vitale e cosmopolita Seattle. La crescente fama della Yakima Valley attira turisti affasci-nati dalle bellezze paesaggistiche e dalla possibilità di gustare specialità birrarie prodotte con luppolo fresco, appena raccolto e ricco di spiccati sentori aromatici. Per chi desidera fare una degustazione articolata, in diversi birrifici craft della valle esiste anche un beer bus, che accompagna fino a 14 appassionati assaggiatori di birra sul percorso scelto con la formula ‘hop on-hop off’: salire e scendere quan-do si vuole dalla navetta, per lasciare tutto il tempo di gustarsi le profumate pinte prodotte nella Yakima Valley. www.ridelittlehopper.com

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

OLTRE IL LUPPOLO

Dopo tanti anni e tanti successi legati al luppolo, incredibile, ma vero, il mondo artigianale USA sta guardando oltre. E come? Con un ritorno al passato. È infatti il momento dei gruit. Yerba mate, camomilla, lavanda, eucalipto, achillea, alloro, ibisco e altro ancora, miscele di erbe che offrono sapori innovativi. La funzione delle botaniche nei gruits non è quella di imitare il gusto del luppolo, ma di aggiungere nuovi sapori, oltretutto valorizzando i prodotti locali, quasi un’espressione terroir. Diversi infatti sono i birrifici, soprattutto nella West Coast, che tendono a procurarsi erbe nelle vicinanze, garantendo così nuove scoperte a livello di aromi e sapori. C’è chi usa fiori di crisantemo, rosa canina, fiori di senape, rabarbaro e ibisco per fare un gruit che rimanda a una Saison. Oppure salvia selvatica, alloro e punte di sequoia dalle montagne della Napa Valley per un gruit intenso. Ma alcuni birrifici, come Ale Industries a Oakland, hanno iniziato a produrre gruit per una ragione diversa: alla fine degli anni 2000, c’è stata una carenza di luppolo e i prezzi di questo ingrediente sono saliti alle stelle. Così il mastro birraio di Ale Industry, Morgan Cox, ha cercato uno stile che potesse essere prodotto senza luppolo ed è nata una delle birre più vendute nella loro taproom, la Golden State of Mind, prodotta con una base di cereali di orzo californiano, grano e avena, coriandolo, camomilla e buccia d’arancia, il tutto unito a succo fresco di ciliegia biologica.

Sierra Nevada top green

Tra i birrifici virtuosi statunitensi dobbiamo citare Sierra Nevada, che segue un programma di economia circolare. Nel corso degli anni questo birrificio ha rinunciato a una produzione semplice ed economica privilegiando l’attenzione all’ambiente. Quasi 11mila i pannelli solari installati, poi riutilizzo del calore, trattamento delle acque reflue, recupero dell’acqua piovana, efficienza energetica e compostaggio: queste alcune delle soluzioni adottate. Ma non solo, adotta politiche per incentivare i trasporti alternativi da parte dei dipendenti. «La sostenibilità è una filosofia operativa fondamentale per Sierra Nevada Brewing Co. da più di 40 anni – dichiara Mandi McKay, direttore della sostenibilità. – Fondata sui principi di zero rifiuti, efficienza e un profondo rispetto per la natura, la fabbrica di birra è diventata un modello per l’industria artigianale americana, dimostrando che la buona birra può fare molto bene». Nel 2016, l’impianto del North Carolina è stato il primo birrificio di produzione negli Stati Uniti ad essere certificato LEED® Platinum, il livello più alto assegnato dal sistema di valutazione degli edifici verdi più utilizzato al mondo.

Il fascino dello straniero

Secondo un accurato studio ICE (Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane), l’Italia risultava negli ultimi dati disponibili, quelli del 2019, sia a valore che a volume al settimo posto tra i Paesi fornitori di birra negli USA, con una crescita dal 2018 al 2019 a valore del 19,8% e a volume (in totale 30 milioni di ettolitri) del 47,8%, il più alto dei top 10 Paesi fornitori. Questi numeri sono in parte dovuti alla strategia di marketing della Peroni, che dal 2018 sta espandendo in modo significativo la distribuzione on-premise e off-premise confermando la sua presenza in grandi catene nazionali. Complessivamente Peroni registra un trend positivo dal 2018, sia in valore che in quantità, posizionandosi ora come il brand europeo importato in più rapida ascesa (dati Nielsen). Oltre a Peroni, troviamo Moretti e anche craft beer, come Baladin, Collesi e Toccalmatto. Il primo Paese fornitore sia a quantità che a valore è il Messico. Le prime 2 birre messicane più vendute si trovano al 2° e al 3° posto nella classifica delle birre più vendute a valore: questo grazie al loro prezzo intorno ai $30 molto maggiore rispetto ai $20 delle più vendute birre domestiche. Per valutare il successo di queste birre, dobbiamo ricordarci, che la componente latina della popolazione è il 17% e che i latini di origine messicana sono la maggioranza. Inoltre, la cucina messicana o tex-mex è molto popolare (NRA stima che sia tra le prime 3 cucine “etniche” più di moda insieme a quella cinese e a quella italiana). La ristorazione italiana è sicuramente il primo palcoscenico per la birra artigianale italiana. Locali di alto livello stanno cominciando a proporre una carta delle birre, parallela alla carta dei vini. Interessanti sono anche le boutique alimentari. Il mercato della birra artigianale è una piccolissima nicchia che gli importatori distribuiscono a volte solo nelle aree limitrofe alla loro sede. I produttori italiani quindi spesso si interfacciano con numerosi partner locali e i quantitativi acquistati sono solitamente limitati. Di contro, se il prodotto è interessante per il mercato e viene supportato adeguatamente nella promozione, gli ordini possono diventare più o meno regolari. Non è facile entrare negli USA, indicano da ICE, in quanto è un mercato che richiede molta attenzione e supporto agli importatori locali. La competizione delle birre artigianali americane è fortissima e bisogna sapersi distinguere, sia a livello di immagine che a livello di offerta ai clienti. Importante trovare il giusto partner con cui individuare la strategia commerciale (prodotti, prezzi e canali distributivi), fare leva su un packaging accattivante, seguire i trend (craft, light beer, flavored beer, natural/organic ingredients), sfruttare il Made in Italy (l’eccellenza italiana è riconosciuta in tanti settori, soprattutto nel food & beverage), essere creativi (i consumatori USA sono aperti a ‘nuove frontiere’) e supportare l’idea e il brand con un buon piano di marketing. Per informazioni doganali, documenti di importazione, etichettatura, packaging e tipologie di birra contattare l’ufficio ICE di New York ([email protected])

IL VALORE CRAFT

I piccoli e indipendenti birrai artigianali americani nel 2020 hanno contribuito per 62,1 miliardi di dollari all’economia degli Stati Uniti. Grazie agli sforzi della Brewers Association, circa 1.600 birrerie hanno ricevuto più di 450 milioni di dollari in sovvenzioni e l’associazione continua a sostenere il piano finanziamento a livello federale. Inoltre, a vantaggio del comparto craft, come parte di un più ampio sforzo dell’amministrazione Biden per aumentare la concorrenza in ogni area produttiva, il governo sta esaminando i modi per allentare la presa di alcune grandi compagnie di birra che controllano il 65% del mercato. Il Dipartimento del Tesoro ha pubblicato un rapporto che esamina come le leggi statali sull’alcol abbiano un impatto sulla capacità concorrenziale dei piccoli produttori di birra e chiede al Dipartimento di Giustizia e Federal Trade Commission di esaminare come le fusioni influenzino le aziende più piccole. Bob Pease, CEO della Brewer’s Association, sottolinea che il rapporto è un buon primo passo, ma anche che “c’è ancora molto lavoro da fare”. Pease ha dichiarato: «L’applicazione dell’antitrust è fondamentale per la capacità dei piccoli produttori di competere». Dal canto suo invece, Jim McGreevy, presidente del Beer Institute, che rappresenta i più grandi produttori di birra del Paese, ha detto che il rapporto è una “descrizione errata della fiorente industria della birra americana”. «I consumatori – ha indicato in un comunicato – stanno beneficiando del crescente numero di produttori e importatori di birra, con più scelte di birra che in qualsiasi altro momento nella storia della nostra nazione».

È stato fondato nel 1988 in Oregon ROGUE ALES.La sua Dead Guy (alc. 6,8%) è un’Amber Ale adatta a chi cerca una bevuta morbida e con tonalità dolci. Luppolatura importante per la IPA Outta Line (alc. 6,9%), che al palato si rivela piena grazie alla sua morbida base maltata. www.alesandco.it

 

Risalgono al 1860 le origini della SAMUEL ADAMS, che venne rilanciata da Jim Koch, figlio del fondatore del birrificio di Saint Louis, nel 1985 come Samuel Adams Boston Lager, prima birra della Boston Beer Company, attualmente una delle più grandi aziende birrarie USA con sede principale a Boston, altri tre stabilimenti negli Stati Uniti e uno in Inghilterra per la distribuzione in Europa. La Samuel Adams è una Lager dal colore ambrato prodotta con luppoli bavaresi (alc. 4,8%). www.brewcompany.it

Lungo le rive della baia di Biscayne, a Miami, nasce l’omonimo birrificio BISCAYNE BAY BREWING, che si è distinto fin da subito per la qualità delle sue specialità artigianali e per l’impegno a livello locale. La Tropical IPA (alc. 6%) con spiccate note fruttate e tropicali si ispira proprio alla città di Miami: il sole, la sabbia, il mare, la cultura cosmopolita. Prodotta seguendo la tipica tradizione americana, la Miami Pale Ale (alc. 5,5%) ha un gusto inconfondibile con note agrumate e floreali che si mescolano con quelle più dolci del malto. www.brewrise.com

 

 

Il birrificio californiano FIRESTONE WALKER vanta una produzione di qualità con alcune birre innovative, come un’IPA brassata con i Cryo Hops, coni di luppolo prodotti con un sistema di frazionamento criogenico (Hopnosis – alc. 6,7%), un’IPA costantemente rinnovata nella ricetta (Luponic Distortion – alc. 5,9%) e una Stout, nella foto, con lattosio e aggiunta di nitrogeno per dare la perfetta sensazione della spillatura (Nitro Merlin – alc. 5,5%). Accanto alle produzioni classiche, nell’ampia cantina di Paso Robles, riposano le Vintage di Firestone Walker (nella foto, Parabola), una serie di birre complesse e interessanti di tradizione inglese, maturati in botti di legno di diversa origine e dimensione. www.qualitybeeracademy.it

Pochi sanno che anche gli Stati Uniti hanno una birra trappista. È prodotta dall’Abbazia di St.Joseph nella città di Spencer, in Massachusetts. Fondata da padre Vincent de Paul Merle, i suoi monaci hanno tratto ispirazione e insegnamenti brassicoli dalle produzioni belghe, dall’Abbazia di Westmalle, ma anche da quella di Sint Sixtus. Nella gamma SPENCER troviamo una Belgian Ale con un’ispirazione d’oltreoceano data dai luppoli della Yakima Valley (alc. 6,5%), un’Imperial Stout dal carattere intenso tipico delle birre trappiste (alc. 8,7%), una Quadrupel risultato di un lungo lavoro di tre anni e 13 tentativi di produzione (Monk’s Reserve – alc. 10,2%), una speziata Belgian Strong Ale (Holiday – alc. 9%), un’originale IPA (nella foto) di ispirazione trappista (alc. 7,2%), una fruttata Saison Peach (alc. 4,3%). www.gsdistribuzioneitalia.it

SIERRA NEVADA BREWING COMPANY È stata fondata nel 1980 da Ken Grossman e Paul Camusi, due appassionati che si dilettavano nella produzione domestica di birra. La sua Pale Ale (alc. 5,6%) è la seconda birra artigianale più venduta negli Stati Uniti (nella foto). Oltre a questo must, la gamma che troviamo in Italia è ricca di IPA dalle diverse sfumature, tra cui un’Imperial IPA (Big Little Thing alc. 9%), ottenuta con un innovativo sistema di produzione, una Hazy Session IPA (alc. 4,2%), una IPA stagionale invernale prodotta con luppolo appena raccolto (Fresh Hop – alc. 6,8%), e poi una Barley Wine (alc. 9,6%), una Barrel Aged Imperial Stout (alc. 11,9%) e una Sour Ale alla frutta (alc. 5,5%). www.interbrau.it

 

 

Nasce a New York City nel 2011 BRONX BREWERY con progetti di inclusività e comunità in cui la birra è parte attiva. Oltre a diverse IPA di utlima generazione, la gamma Bronx in Italia comprende una Sour IPA (nella foto) al tempo amara e acidula (City Island – alc. 6%), una American Pale Ale (alc. 6,3%) e una Pils (alc. 5,4%). www.interbrau.it

Sin dalla sua fondazione, avvenuta nel 1993, il birrificio californiano LAGUNITAS si è sempre contraddistinto per un mix perfetto di birre senza compromessi e un pizzico di irriverenza. Pur utilizzando, come da tradizione, solo acqua, luppolo, lievito e malto d’orzo, con spirito provocatorio e per certi versi rivoluzionario, è riuscito a entrare stabilmente nella top five dei birrifici americani. La sua IPA (alc. 6,2%), si dice sia realizzata con 43 varietà diverse di luppolo e 65 tipi di malti, è una delle birre più vendute in tutti gli States. www.heinekenitalia.it

Fondata nel 2012 da Thomas Vogel, Dave Mobley e Troy Smith, già mastro birraio di Coronado Brewing, BELCHING BEAVER Ha sede a San Diego. Nel 2018 è stato inserita nella Top 100 dei birrifici artigianali per vendite negli Stati Uniti. La gamma comprende un’IPA tipica della West Coast (No Worries – alc.6,2%), un’IPA frutto della collaborazione con Deftones (Phantom Bride – alc. 7,1%), una Hazy IPA dal corpo morbido (Hazer Gonna Haze – alc. 6,6%), una floreale e facile Honey Wheat Ale (Me So – alc. 5,5%) e, in foto, una Stout cremosa perfetta per i dessert (Viva La Beaver – alc. 7,5%). www.fg-srl.it

È dal 1997 che SWEET WATER produce birre ad Atlanta. Vi troviamo (nella foto) una Imperial IPA di nuova interpretazione, più audace (420 – alc. 9,1%), una rinfrescante Lager (Broken Coast –  alc. 5,5%), una Pale Ale in stile West Coast (420 Extra – alc.5,7%), una Hazy IPA con doppio dry hopping (alc. 6,2%), una IPA non filtrata e straluppolata (alc. 6,3%), una IPA dal sapore di canapa (G13 –alc. 6%), una Hazy Double IPA fuori dai ‘binari’ (Trainwreck – alc. 8%) e una IPA facile facile (Better Days – alc. 4%). www.fg-srl.it

 

La BUD (alc. 5%), nata nel birrificio di Saint Louis, in Missouri, fondato nel 1852, è una delle icone birrarie degli USA. La sua versione Light è la birra numero uno per vendite negli Stati Uniti. www.ab-inbev.com

LE BEST SELLER
Tra le birre più vendute negli Stati Uniti troviamo BLUE MOON, una Belgian White non filtrata dagli intensi aromi agrumati, in particolare di arancia (alc. 5,4%), e la Coors Light, una Lager con solo 4 gradi alcol. www.royalunibrew.com