Ho conosciuto Richard, all’anagrafe Alduino Di Angelo ma dubito che perfino la moglie lo chiami con il suo vero nome, vent’anni fa in una caotica e affollata serata post Fiera di Rimini all’interno della sua “tana”, quel Rose & Crown di cui avevo sentito già molto parlare e di cui, tuttavia, facevo fatica ad assimilare la data di nascita. Nel 1964 non ero nemmeno nato ma, d’altro canto, l’uomo non era ancora sbarcato sulla Luna. In compenso i Beatles andavano ancora d’accordo e le minigonne facevano scandalo.
Nato nel 1964
Il Rose & Crown aveva aperto i battenti per merito del genio condito da un pizzico di follia del conte Perticari che, da bravo nobiluomo anglofilo, aveva deciso di aprire un pub fronte mare nella capitale della Riviera Romagnola, terra santa di tagliatelle e piadine, bagnini italiani e turiste tedesche. Il giovane Richard c’era arrivato qualche anno dopo, al termine di un’avventura inglese dietro il bancone di qualche pub d’Albione. Poco più che ventenne si era messo sulle spalle la direzione del Rose e, circa un mese fa, l’ho incontrato nuovamente. Dopo ben quarantaquattro anni di servizio senza interruzioni, ma guadagnandosi nel frattempo la titolarità del locale.
Per lui il tempo ha inciso solo sulla chioma e su qualche ruga. Come allora si muove nel locale con le attenzioni di un vero padrone di casa. Tiene d’occhio, anche se non sembra, lo staff, si ferma a qualche tavolo a salutare i clienti che conosce, in qualche caso beve una birra con loro o, se il tempo non glielo concede, offre semplicemente un giro agli habitué. Il Rose & Crown è una pietra miliare nella storia della birra in Italia, ancora oggi durante i giorni di Beer Attraction è il luogo più sicuro dove incontrare operatori e appassionati al termine della giornata. Mescolati con la clientela locale che va dai ragazzi poco più che maggiorenni agli adulti con qualche decennio di permanenza al bancone. Un locale di tale successo non può esserlo solo per l’età anagrafica, ci deve essere senz’altro qualcosa in più. E chi meglio di Richard lo può spiegare…
Testa e cuore
«Se dovessi riassumere in due parole il “fenomeno” Rose & Crown – inizia sorridendo – ti direi: testa e cuore. Senza testa nessun locale può durare così a lungo, i conti vanno sempre fatti tornare. Ma ci vuole pure il cuore perché se il locale non ha un’anima, non ti regala un’atmosfera, è un locale fragile, magari di successo ma un successo legato alla capacità di seguire le mode del momento, cambiando spesso formula e cercando di farlo nel momento giusto, né troppo in anticipo né troppo tardi». E invece il Rose & Crown sembra essere praticamente immutabile. «Perché non abbiamo mai voluto tradire ciò che vogliamo essere – riprende Richard –. Siamo un pub anglosassone con un core business legato alle birre alla spina e poco o nulla alle bottiglie. E siamo una Free House Pub nel senso che ciò che attacchiamo lo decidiamo noi. Nel bene e nel male». Che tradotto… «Che tradotto significa che magari qualcun altro avrebbe forse potuto fare meglio di quanto ho fatto io. Ma la mia visione d’insieme è sempre stata questa: la birra è il prodotto d’eccellenza che cementa le amicizie, il collante dello stare insieme a prescindere da ciò che si è: giovani o adulti, uomini o donne, ricchi o poveri. Dietro un boccale di birra siamo tutti uguali».
La saggezza dell’uomo semina nell’intervista perle preziose: “Il Rose & Crown ha fatto moda nel non seguire le mode”. «Certo – conclude Richard – qualcosa è cambiato negli anni. Quando ho iniziato avevo solo una persona in cucina, oggi ci lavorano in cinque. Se fosse per me il Rose sarebbe ancora un posto dove si beve birra e basta, ma la fedeltà non va confusa con l’immobilismo».
Poteva il Rose & Crown, premiato con l’Accademia della Birra nel suo anno d’esordio (il 1991), non essere la prima Accademia Storica del nuovo ciclo? Ovviamente no. E vogliamo andare oltre: nessuno più di Richard e del suo Rose & Crown lo merita.