Si fa presto ad attribuire titoli a vanvera. Un birrificio che nemmeno ha dieci anni di storia alle spalle viene battezzato come “storico” e il suo birraio passa da “pioniere” del settore. Magari in termini relativi ci potrebbe anche stare, ma in termini assoluti… Lasciamo perdere.
Volete sapere chi invece merita e in termini assoluti il titolo di pioniere? Un signore piemontese di nome Graziano Fecchio.
L’inizio dell’avventura
Nel 1974 il presidente americano Nixon si dimette per il Watergate, la Germania di Franz Beckenbauer vince i mondiali di calcio e a Milano Montanelli fonda il Giornale. Ed era questo l’anno in cui Fecchio avviava la sua attività d’importazione di birre dall’estero. «Con la Newcastle Brown Ale», ricorda oggi, «e con altre birre che andavo a comprare in Gran Bretagna». Come la John Courage, o come la Mc Ewan’s Scotch Ale, ad esempio. Che arrivò in Piemonte con un tir che Fecchio dovette scaricare a mano nel garage di casa. «E poi andavo a vendere in giro con la mia Renault 5», prosegue. «Ho iniziato così, nessun problema a confessarlo. Ma nel 1986 ho venduto qualcosa come 66mila ettolitri di birra».
Una cifra mostruosa però, certo, un’altra epoca. Ma chi, agli inizi degli Anni Settanta, si sarebbe sentito di scommettere sul successo delle birre straniere in Italia? Di Graziano Fecchio si può dire molto ma non che non sia dotato in ugual misura d’intuito e di propensione al rischio. Il tutto supportato da una carica da far invidia a un ventenne di oggi. «Ho provato a contare i chilometri percorsi nella mia vita lavorativa», commenta sorridendo sotto i baffi. «Più o meno dovrebbero essere sei milioni».
Il successo cresce rapidamente. Fecchio è tra i primi, se non il primo, ad aprire locali birrari specializzati che ricordano i pub inglesi, in anticipo sul fenomeno che poi diventerà un trend dominante alla metà degli Anni Novanta. Poi esce dalla sua società ma solo per fondarne un’altra. Si dedica all’altra sua passione: i vini ricercati, come i Porto, e i distillati, rum soprattutto. E la nuova società, battezzata F&G Srl, nella quale sono coinvolti anche i suoi figli Federico e Gabriele, decolla immediatamente.
Un vero cercatore…
Negli anni aggiunge anche whisky e gin al portafoglio, muovendosi sempre in anticipo rispetto ai trend. Ma, soprattutto, muovendosi. Perché Fecchio i prodotti se li va a cercare, che si tratti di attraversare gli Stati Uniti o di girare di isola in isola nei Caraibi. Assaggia e quello che gli piace prova a trattarlo commercialmente. Ci riesce sempre.
Infine, il ritorno di fiamma per le birre. In un mercato completamente diverso da quello degli Anni Settanta. Se allora c’era da fare proselitismo oggi c’è da differenziarsi dalla concorrenza. Problema risolto con le birre artigianali statunitensi.
Fecchio salta quelle che, nell’ambiente, si chiamano le “piattaforme” europee. Ovvero comprare il prodotto dagli importatori olandesi, scandinavi e britannici. Sarebbe più semplice, ma lui preferisce volare negli States e trattare direttamente con i birrifici. Il momento è quello giusto e lui garantisce i requisiti imprescindibili per i birrai americani. La “catena del freddo”, soprattutto, ovvero il fatto che le birre non si trovino mai sottoposte, durante tutto il loro percorso fino al pub in Italia, a temperature eccessive. Ed ecco così i primi arrivi: Aviator dal North Carolina, Sly Fox dalla Pennsylvania, Abita dalla Louisiana, Red Brick dalla Georgia, Speakeasy e Coronado dalla California, Great Divide dal Colorado.
Tutti nomi che gli appassionati conoscono bene e che non avrebbero mai pensato di poter bere in Italia. A pensarci invece, è stato ancora una volta lui. Pioniere nel 1974 ma, in realtà, pioniere anche oggi.