Uomo di lungo corso del settore, Davide Daturi guida ormai da qualche anno Dibevit Import, una delle realtà senza dubbio più importanti nel campo dell’importazione e distribuzione di birre speciali. Dibevit oggi può vantare un catalogo particolarmente ampio, con referenze che vanno dal Belgio agli Stati Uniti, dalla Germania al Regno Unito attraversando un po’ tutte le categorie brassicole, dalle trappiste alle pils, dalle birre d’abbazia alle India Pale Ale. A volte in fusto, a volte in bottiglia, a volte in entrambi i formati.

Abbiamo incontrato Daturi qualche giorno fa. Per una birra naturalmente, ma si sa come vanno queste cose. S’inizia a parlare del più e del meno e poi…

 

E poi, sembra che quest’anno il mercato birrario stia regalando qualche soddisfazione in più?

«Decisamente. I numeri sono più che soddisfacenti, sia nel Modern Trade dove la birra cresce a doppia cifra sia nell’Horeca, dove abbiamo sicuramente recuperato sui primi due mesi dell’anno e ampiamente sui volumi realizzati lo scorso anno nello stesso periodo».

 

Non è che il merito sia solo della bella stagione?

«L’andamento climatico è fondamentale. In Italia lo è sempre stato. Un maggio con 30 gradi di temperatura è stato un regalo imprevisto e molto gradito. Ma non basta il clima per spiegare la crescita; a esso vanno aggiunte le azioni dei produttori, che sono tornati a investire nelle attività promozionali a favore dei grandi brand, e i dati macroeconomici che indicano un miglioramento generale del Paese».

 

Le specialità sono ancora un cavallo di battaglia vincente?

«Lo sono. C’è da dire innanzitutto che le specialità sono le referenze che meglio si sono comportate negli ultimi tempi. Oggi continuano a far segnare ottime performance, sebbene abbiano un po’ rallentato anche in virtù della ripresa dei marchi premium sostenuti, come ho detto, dalle rinnovate attività promozionali e di ‘incentive’ messe in atto dalle grandi aziende».

 

Con le specialità però si dice che si possano aprire nuovi canali…

«Sì ma, a mio avviso, ciò è vero in parte. Almeno se per nuovi locali s’intende il mondo della ristorazione che, in effetti, ha iniziato a dare qualche segnale d’interesse ma, francamente, al di sotto delle aspettative. Con le specialità si lavora meglio nei locali birrari tradizionali, soprattutto in quelli che hanno deciso di allargare la loro gamma e arricchirla».

 

A proposito di arricchire la gamma. Questo per Dibevit è stato l’anno di Lagunitas?

«Vero. Lagunitas è stata la grande novità del 2017 e i risultati che stiamo ottenendo sono onestamente molto superiori anche alle nostre più rosee aspettative. Siamo molto contenti. Va detto che su queste birre importate direttamente dagli Stati Uniti abbiamo una politica piuttosto restrittiva nel senso che selezioniamo i distributori locali sulla base della presenza di magazzini refrigerati. Tutta la linea di distribuzione deve essere, come si suol dire, all’insegna della catena del freddo».

 

E con Lagunitas a quante referenze siete arrivati?

«Quasi duecento le etichette, ma in realtà i birrifici che rappresentiamo sono un numero minore. Quello che ci interessa non è tanto avere un numero infinito di etichette quanto costruire un rapporto solido con i nostri partner e avere modo e tempo per farli crescere. Mantenendo tuttavia una rappresentatività ampia per origini e stili birrari, occupandoci di seguire le tendenze di mercato e scommettendo su alcuni prodotti in cui crediamo».

 

Nuove tendenze, nuove birre, implicano la necessità di investire maggiormente in formazione…

«C’è sempre stato bisogno di investire in formazione ma certo oggi, con la rivitalizzazione di stili birrari e l’introduzione di ulteriori stili creati ex novo dai birrai fare formazione, promuovere la cultura del prodotto, è decisivo. E in senso generale ovvero anche riguardo a categorie che magari non trattiamo. La formazione serve a essere più consapevoli, più capaci di far fronte alle esigenze dei consumatori e della filiera. E naturalmente a essere più competitivi».

 

Ecco, la competizione. Sarà aumentata pure quella ultimamente?

«Certo che sì. Ma meglio un mercato vitale e competitivo che uno stagnante. La competizione fa bene a tutti. E credo anche che questo arricchisca il mercato stesso, grazie alla complementarietà dei ruoli: le grandi aziende, i microbirrifici, gli importatori, i distributori. Bisognerebbe forse solo vedere di più questa complementarietà piuttosto che i differenti interessi specifici che pur ci sono».