Aveva 27 anni quando aprì il primo locale birrario, ma la sua passione per il settore era già nata tanto tempo prima, prendendo le mosse da una tradizione di famiglia. «Quando i consumi nelle famiglie italiane erano quasi esclusivamente di vino, in casa nostra si beveva già birra, una birra proveniente dalla Repubblica Ceca. Mi ricordo mio nonno con il bicchiere della birra in mano – spiega Massimo Zucchini. – In effetti, se la birra negli anni ‘60/’70 rappresentava ovunque in Italia un elemento di rottura rispetto alla generazione precedente, da noi, a Bologna, aveva una sua tradizione. Tante le birrerie che qui, rispetto ad altre città, si contavano. E c’era anche qualche azienda birraria».

È seguendo proprio il suo spiccato interesse per la birra che nel 1987 Massimo Zucchini, con l’aiuto del socio Franco Commissari, trasforma un bar tradizionale di Via Mascarella in una piccola birreria, il Druido. Tra le sue ospiti illustri, la Guinness, allora poco conosciuta agli italiani.

Ma questo era solo l’inizio, vero?

«Certo. Nella prima metà degli anni ‘90 ho iniziato a viaggiare molto per l’Europa scoprendo il mondo dei pub, così diverso da quello delle birrerie tedesche, allora più diffuse in Italia, caratterizzate da tavoloni e consumi in accompagnamento al cibo. Mi piaceva, invece, la vita del pub, in cui la birra diventa centrale e il bancone il punto focale al quale i clienti si rivolgono per prendere il loro bicchiere e sedersi dove vogliono. Quindi, ho scelto di imboccare questa strada e Guinness, con la quale collaboravo, mi ha supportato. Ci siamo rivolti a una ditta irlandese specializzata nella progettazione e realizzazione di irish pub e abbiamo scelto un arredamento vittoriano, il più caratteristico, il più particolare, quello che oltretutto meglio si combina con l’importanza architettonica del palazzo in cui il locale è inserito, in via Caduti di Cefalonia, uno dei palazzi più antichi di Bologna. Come materiale è stato utilizzato il legno di mogano, sia per il bancone sia per l’entrata, e tutto proviene direttamente dall’Irlanda. Così nel giugno del 1995 ho inaugurato, nel pieno centro di Bologna, il Celtic Druid, uno dei primi irish pub della città, che con sé portava una nuova filosofia, uno stile di vita che privilegia l’amicizia, la conversazione pacata, la buona musica e naturalmente la buona birra. Questi i motivi del successo del locale, divenuto anche riferimento dalla nutrita e variegata comunità straniera di Bologna, che ora, a distanza di 25 anni dalla sua inaugurazione, registra un consumo di 70 fusti a settimana con una costante crescita.»

Un locale avviatissimo e una buona cultura birraria, ma hai deciso anche di frequentare un corso per Biersommelier. Come mai?

«Agli inizi collaboravo con Guinness e mi occupavo esclusivamente di birre irlandesi, ma ho capito che non potevo fermarmi lì, c’era ancora tanto altro nel mondo birrario. Pian piano ho arricchito il locale tanto da arrivare ad avere un centinaio di birre in bottiglia e 18 spine. Per conoscere meglio questi prodotti ho ritenuto opportuno frequentare dei corsi, dapprima con Unionbirrai. Poi, Lorenzo Musci (uno dei soci del Celtic Druid insieme a Massimo Zucchini, Franco Commissari e Chrysanthos Apostolakis, ndr) ha partecipato al corso per Biersommelier Doemens e ho pensato che fosse una scelta opportuna anche per me. Infatti, l’ho trovato utile soprattutto per avere una visione completa del settore e in particolare per saperne di più circa gli eventuali abbinamenti con il cibo. Inoltre, ho trovato, data l’elevata professionalità dei corsisti, il valore aggiunto di una comunità di qualificati operatori.»

Quanto è importante avere un’approfondita conoscenza della birra per proporla e venderla al meglio?

«È fondamentale. Quando sai cosa vendi e ti piace, hai fatto bingo. Solo così puoi trasferire informazione ai tuoi clienti e, di conseguenza, ti differenzi dalla concorrenza.»

Quali, secondo te, gli errori più frequenti che vengono compiuti nel servizio della birra nei locali italiani?

«Il più grave è la mancanza di pulizia degli impianti, errore che compromette la qualità della birra. È vero che il consumatore italiano è attratto dal prodotto alla spina e dal numero di spine del locale, ma se il consumo è ridotto, meglio non tenere un impianto.»

Com’è cambiato in questi anni il consumatore italiano? Cosa chiede che prima non chiedeva?

«La sua preparazione nel settore è migliorata e quindi ha richieste più specifiche di un tempo. Mentre una volta chiedeva semplicemente una bionda, oggi chiede lo stile. Per quanto riguarda le marche, non si può ignorare la forte richiesta dei prodotti dei microbirrifici.»

Infine, tra le prospettive del mercato, un sempre più diffuso e qualificato abbinamento della birra con la gastronomia.
Quali ritieni siano gli abbinamenti più interessanti su cui puntare?

«Per quanto riguarda il mio locale, di recente e dopo anni di sola birra, ho deciso di aggiungere la cucina, scegliendo una proposta gastronomica tipica da pub: hamburger di carne selezionata e un vasto assortimento di fritti. Quindi, nel caso specifico, rimango sul tradizionale. Ma da Biersommelier devo dire che particolarmente interessanti si rivelano gli abbinamenti tra Blanche e pesce.»