La prima volta che si visita Anversa, una città gioiello nelle Fiandre del Belgio, e ci si sente parte dei super appassionati di birra è facile che la prima meta del viaggio sia il Kulminator. Il locale aperto nel 1974 da una coppia, Dirk e Leen Van Dyck, è da sempre in cima alle classifiche di settore riuscendo a vincere la speciale classifica di Ratebeer per i “migliori locali del mondo” più di una volta. Il posto è effettivamente unico e per diversi aspetti. A vederlo da fuori, in tutta onestà, non colpisce molto e, anche varcata la soglia, la prima impressione è quella di essere forse entrati dal retrobottega. Non troppo grande e ingombro di bottiglie che sembra quasi siano state abbandonate sui tavoli dove non mancano quasi mai copie di quotidiani già letti, ci si mette un po’ per metterlo a fuoco. I due titolari, ormai un po’ avanti con l’età, ti accolgono gentilmente, più lei di lui a dire il vero, ma anche con quel vago cenno di sorpresa che chiunque potrebbe esprimere vedendosi entrare un tizio nel salotto di casa. Non sapendone le ragioni, ma dovendolo trattare comunque con educazione. Se si supera l’impasse e ci si comporta con il dovuto rispetto, che tradotto significa niente schiamazzi e soprattutto nessun atteggiamento da esaltati che hanno raggiunto la “fonte della giovinezza”, il Kulminator è un viaggio che merita di essere fatto. Leggere la carta delle birre è come scoperchiare il baule che contiene il tesoro dei pirati: vecchie annate di birrifici conosciuti e vecchie annate di birrifici ormai sepolti dalle sabbie del tempo emergono dalla cantina sotterranea con il passo lento e il sorriso benevolente della signora. L’unico problema in cui si può incorrere con il Kulminator sono gli orari di apertura paragonabili per certi versi al “terzo segreto di Fatima”. La mia personale esperienza è un due su quattro, ovvero per quattro volte mi sono presentato alla porta del locale ma solo in due occasioni sono riuscito a varcarne l’ingresso. Una media da retrocessione, insomma. Il Kulminator di norma chiude abbastanza presto e non si sa bene quando apra. Il problema è la mancanza di fonti certe per chi scruta l’orizzonte su Internet.

Gioiello fiammingo

L’importante comunque è non prenderla sul personale e non farne un dramma. Anversa è città meravigliosa sotto tanti punti di vista. L’architettura elegante dei palazzi che circondano la Grote Markt rivela la ricchezza cittadina, la sua propensione al commercio, il suo dinamismo borghese illuminato. Il suo nome, in fiammingo Antwerpen, sembra derivare da “hand werpen” ovvero lanciare la mano e fa riferimento alla leggenda di un legionario di Roma, tale Silvio Brabone, che passato da queste parti uccise un gigante che abitava in zona e, una volta tagliatagli la mano, la lanciò nel fiume Schelda. Nella Grote Markt si può vedere la statua che gli è stata dedicata. A Brabone ovviamente. Sta di fatto che la mano appare un po’ dappertutto in città. Nel gonfalone araldico come nei cioccolatini, nel logo del più grande birrificio cittadino, De Koninck, come nei portachiavi che vendono i negozi di souvenir.

Camminando per Anversa

A proposito di De Koninck, parte del gruppo Duvel Moortgat le cui birre sono in Italia distribuite da Dibevit Import, c’è da dire che il birrificio aperto nel 1833 offre un percorso didattico molto interessante anche per i neofiti della birra. Vale certamente la visita come vale la sosta nella taproom posta a piano terra a inizio o fine percorso.

Ma se De Koninck gode di ampia e prevedibile visibilità, ci sono numerose altre realtà dove vale la pena effettuare una fermata mentre si cammina per il centro storico. Attaccato alla cattedrale, ad esempio, trovate il Paters Vaetje, un bar a bière con tavolini all’esterno e una discreta selezione di birre belghe tra grandi classici e piccoli produttori. Fate lo sforzo di camminare per ben cinquanta metri ed eccovi all’Elfde Gebod, locale d’angolo quasi del tutto ricoperto da edera rampicante e caratterizzato all’interno da una quantità impressionante di statue di santi, martiri, beate vergini e via dicendo. Il suo nome in italiano, l’Undicesimo Comandamento, spiega l’arredamento inconsueto del posto. Se ci si sente sicuri delle proprie convinzioni, quali esse siano, e non si pensa di correre il rischio di avere una crisi mistica improvvisa, il posto vale la cena a base di cozze al vapore, le celebri moules belghe, con contorno di patate fritte – inutile ribadirlo in Belgio le fanno come da nessuna altra parte al mondo – e una birra trappista che, visto il contesto, apparirà certamente come la scelta più adatta.

In una città affascinante come Anversa poi, la stazione centrale non è da meno. Merita vederla da vicino e all’interno perché è letteralmente abbagliante e fa venire voglia di diventare dei pendolari. A due passi dalla stazione, su un viale che tutti sembrano percorrere in un senso o nell’altro, c’è il Bier Central, fornitissimo di tutto lo scibile brassicolo nazionale sebbene la completezza totale in Belgio sia qualcosa di irraggiungibile. Essendo a due passi da uno dei punti d’ingresso in città, è di norma il primo posto dove si va a bere birra ad Anversa. Basterà contare i sorrisi compiaciuti di chi ha appena scoperto l’Eldorado per rendersi conto di quanto sia elevata la percentuale di turisti rispetto ai locali. Si può smaltire l’emozione della prima volta al Bier Central ma, in seconda battuta, si può poi ritornare verso la stazione, ammirare almeno dall’esterno l’ingresso dello zoo di Anversa, forse l’unico caso al mondo di zoo così immerso nel cuore cittadino insieme a quello di New York, e raggiungere a piedi Rotterdamstraat dove, dal 24 giugno 2016, ha aperto i battenti il Beer Lovers Bar che, a differenza della maggior parte dei locali famosi di Anversa, non indulge in memorabilia, vecchie cassette di legno di birrifici trappisti, targhe di metallo e in pratica tutta la scenografia abbastanza tipica delle birrerie in Belgio. Il Beer Lovers è moderno e abbastanza minimalista, ma i titolari qui fanno tremendamente sul serio. L’atmosfera da covo di beer geek trova conferma nella lettura della loro carta: pagine riempite fitte di nomi di birrifici e relative birre, produttori sulla cresta dell’onda come De Struise e De Dolle, nugolo di birrifici internazionali da festival delle specialità, vecchie annate che fanno battere il cuore (Stille Nacht, Pannepot, Black Albert, Cuvèe Delphine tanto per fare qualche nome) e una piccola selezione di mead, quell’idromele che fa molto saga celtica in stile “Trono di spade” e che merita almeno un paio di assaggi.

Anversa in auto

Hans Bombeke, che al Huisbrouwerij ‘T Pakhuis sovrintende la produzione insieme a Kristof Van den Ouweland.

E, fin qui, siamo rimasti solo su ciò che è raggiungibile sulle gambe. Ovviamente sempre camminando ci sono moltissime altre tappe da non perdere, ma si può anche decidere di prendere un taxi per andare a vedere, ad esempio, il brewpub di Anversa. Si chiama Huisbrouwerij ‘T Pakhuis ed è stato aperto nel 1996. Seminascosto all’interno di un cortile, produce oggi sei birre tutte di alta fermentazione con una sala cottura da dieci ettolitri e una produzione annua che si aggira intorno ai quattrocento. A illustrarmi l’attività è Hans Bombeke, una specie di celebrità cittadina birraria (tutte le volte che sono stato ad Anversa per questioni birrarie lui c’era) e che qui sovrintende la produzione insieme a Kristof Van den Ouweland. «Qui il lavoro è tutto manuale – mi fa osservare Bombeke – non abbiamo un computer che ci assiste, controlliamo l’orologio per fare in modo che tutti gli step del processo produttivo siano fatti nel momento giusto». Non faccio in tempo a chiedermi se quindi siano davvero artigianali (la risposta è sì, per chi non ha compreso l’ironia) e mi trovo all’assaggio di birre corrette, ben equilibrate, senza troppi voli pindarici ma godibili. «La nostra sfida è fare birre buone da bere e farlo sempre», chiosa sornione Bombeke. Sono d’accordo con lui pensando a quante birre ho trovato meravigliose al naso e al primo sorso ma che già al secondo mi hanno spezzato qualsiasi entusiasmo. Grazie a lui faccio anche in tempo a raggiungere la mia ultima tappa di questo giro.

Johan Van Dyck, alla guida, con la moglie Karen, dell’Antwerpse Brouw Compagnie.

È la Antwerpse Brouw Compagnie ma tutti la conoscono come Seef Bier ed è nata sei anni fa grazie all’intuito, alla passione e alla volontà di Johan Van Dyck insieme alla moglie Karen. In realtà più che nata sarebbe coretto dire rinata perché la Seef è stata in realtà una delle birre più popolari di Anversa almeno fino alla Prima Guerra Mondiale. «Ho letto di questa birra otto anni fa», ci ha spiegato Van Dyck, «e ho dovuto spulciare a lungo gli archivi comunali e parlare con vecchi birrai, per ritrovare la ricetta originale. Infine, grazie alla consulenza dell’Università di Lovanio, sono riuscito a recuperare anche il ceppo di lievito che si usava, molto simile a quello che si usa ancora oggi per il pane». La Seef è rinata così in un piccolo birrificio indipendente di proprietà di un’altra coppia, dopo quella del Kulminator, di Anversa. A luglio 2017 questa società familiare si è dotata di un proprio impianto di produzione con una sala cottura da quaranta ettolitri. Oltre alla Seef originale i Van Dyck producono una lager con dry hop-ping chiamata Super Cadix, una birra ambrata con zenzero e coriandolo e una potente dubbel da 9% vol. In soli sei anni di produzione presso terzi e sei mesi a casa loro Seef e le sue sorelle sono arrivate in Olanda, Messico, Canada e altre dodici nazioni. «A Tokyo avremo una decina di bar che servono Seef tutto l’anno», mi ha annunciato un giustamente felice Johan Van Dyck. È una bella storia la loro, un mix di ottima qualità del prodotto e capacità imprenditoriali (Van Dyck è stato per qualche anno l’uomo di punta del marketing Duvel Moortgat prima di mettersi in proprio). E la dimostrazione che l’Anversa birraria è viva e vegeta. E a orari più confortevoli rispetto a quelli del Kulminator.