Artigianali e industriali: ritorno alle origini

Nella foto in copertina: Vittorio Ferraris, presidente Unionbirrai

Dopo quanto successo a Hibu e Birra del Borgo la prospettiva delle acquisizioni delle artigianali è definitivamente scaduta? Ne abbiamo parlato con Vittorio Ferraris, presidente di Unionbirrai, che ci prospetta due interessanti possibilità

di Giuliana Valcavi

Tra il 2016 e il 2017 il mondo birrario artigianale italiano è stato scosso da una sequenza di acquisizioni che hanno portato quattro birrifici nell’orbita dei colossi mondiali del settore. Parliamo del primo episodio, quello dell’acquisto di Birra del Borgo da parte del leader mondiale Ab InBev, a cui sono seguiti l’anno successivo Hibu entrato in Heineken, Birradamare in Molson Coors e una quota di Birrificio del Ducato acquisita da Duvel. Recentemente, abbiamo assistito a un dietrofront. Hibu è ritornata ai vecchi proprietari e Birra del Borgo è stata comprata dal primo mastro birraio. Ne abbiamo parlato con Vittorio Ferraris, presidente di Unionbirrai.

Quanto è successo può essere un segnale evidente e concreto che il fenomeno delle acquisizioni non ha alcun futuro da noi al contrario di quanto accade oltreoceano?

Credo che il periodo covid abbia penalizzato tutti. Durante il periodo di contrazione dovuta alle serrate dell’Horeca anche le aziende più strutturate in ambito GDO sono state penalizzate nel canale fuoricasa e quanto accaduto non ha nulla a che fare con ventilate cadute qualitative. Piuttosto, possiamo dire che il canale della GDO, che in questi 2 anni ha retto, ha rivelato dei problemi per i brand artigianali, che non sono ancora pronti a reggere il confronto sugli scaffali col prodotto industriale agli occhi dei consumatori di birra italiani. In generale, i birrifici artigianali già strutturati per la GDO, quelli con produzione superiore ai 10mila ettolitri, hanno comunque contenuto i cali. In particolare, invece, i birrifici citati rappresentano delle piccole realtà rispetto ai birrifici industriali in cui erano inseriti e le loro performance si sono rivelate troppo contenute rispetto alle aspettative, non sono state considerate sufficienti per dei colossi come Heineken o AB InBev, che monitorano i risultati con criteri assoluti che devono garantire la remunerazione del capitale. Certo non possiamo dire che fenomeni di acquisizione non ce ne saranno più anche perché il mercato probabilmente avrà un rimbalzo dopo due anni di restrizioni: i consumatori hanno voglia di ritrovare una dimensione di socialità che è ben rappresentata dal prodotto birra. Comunque, ritengo anche che quanto successo con le quattro acquisizioni in Italia, tutte quattro fallite, abbia dato un segnale chiaro nonostante, tra l’altro, si tratti di operazioni diverse tra di loro..

Cetani, che ha riacquistato Hibu, ha dichiarato di avere ora un birrificio più moderno e attrezzato, anche sul piano della sicurezza, di quanto fosse al momento dell’acquisizione. Quindi, in queste operazioni del buono c’è. O no?

Certamente. Un’azienda dell’agroalimentare ha bisogno di sostenere investimenti in diversi ambiti con procedure di qualità e sicurezza di cui un birrificio artigianale raramente può disporre. Operazioni di questo tipo possono andare a colmare le tipiche lacune della produzione artigianale, cioè incostanza nel prodotto e carenza distributivo/commerciale. Hibu ora ha davanti un nuovo percorso e recuperare una situazione che fa fronte alle carenze dell’artigianalità penso che rappresenti un indubbio vantaggio.

IL CUORE DEL MASTRO BIRRAIO

Matteo Corazza, 35 anni, il primo mastro birraio di Birra del Borgo, è diventato il proprietario del birrificio laziale. Ha rilevato la prima sede, quella storica, di Borgorose, in provincia di Rieti. «Nel 2005, a 19 anni, ero già in Birra del Borgo, dove sono sempre rimasto tranne nel 2015 quando sono stato in Australia, dove ho avviato il birrificio Nomad – ci dichiara. – Nel 2016 sono rientrato e ora ho riaperto il vecchio birrificio, che per me è casa, e ora sto riavviando qui la produzione».

C’è chi sperava in qualche acquisizione per ‘sistemarsi’ e adesso deve abbandonare il sogno o qualche altra opportunità c’è?

Una strada potrebbe essere affidarsi a gruppi strutturati che permettano al birrificio artigianale di compiere un balzo senza però snaturare il ruolo del brand. Penso che oggi ci siano tante aziende che sentono la necessità di fare un nuovo percorso in una struttura Horeca organizzata. Questa è una strada percorribile concreta così come quella di confrontarci coi maggior player del beverage e del food con l’obiettivo delle private label. Anche perché questi due anni di pandemia un danno all’Horeca specializzata l’hanno portato e quindi ci saranno difficoltà a confrontarci col nostro classico canale di riferimento. Sarà importante trovare nuovi canali alternativi per il piccolo birrificio. Anche la nostra presenza a Cibus, che ci fa uscire dalla nostra comfort zone, rappresenta una sfida che ci può dare nuove opportunità di business.

ANCHE OLTRALPE

Ha riaperto nel nord della Francia un vecchio birrificio con 4 secoli di storia, Motte-Cordonnier, rianimato dalla stessa famiglia da cui ha avuto origine. Lo scorso anno, dopo un periodo di chiusura dal 2005 a seguito dell’accordo di collaborazione con AB InBev siglato negli anni ‘70, è stata riavviata la produzione in un nuovo birrificio e addirittura per il prossimo anno si prevede la ricollocazione nel sito storico di Armentières, in un edificio classico carico di tutto il fascino di altri tempi, vero tesoro architettonico. «Abbiamo ripreso la produzione lanciando una prima birra nel 2019, la René, dal nome di una nostra antenata – spiega Henry Motte – poi la Èmile, in omaggio a un dipendente entrato in azienda nel 1904». Entrambe, stanno già conquistando premi. Nel 2021, la René ha ricevuto una medaglia d’argento al France Bière Challenge e la Émile una medaglia d’oro al France Bière Challenge, una medaglia d’argento al concorso internazionale di Lione e una medaglia di bronzo al World Beer Awards.

Henry Motte e la gamma

LA DISTRIBUZIONE CONTINUA

Interpellata dal nostro giornale sulla cessione di Hibu, il colosso olandese ha così dichiarato: «Heineken Italia ha completato nel 2021 il processo di integrazione di Dibevit Import nelle proprie strutture commerciali Horeca e Modern Trade, con il fine di garantire ai propri clienti un’offerta che risponda meglio alle necessità di un mercato in continuo cambiamento. La rimodulazione strategica del proprio portafoglio consentirà ad Heineken Italia di focalizzarsi su un numero minore di referenze alle quali potrà essere dedicata maggiore attenzione e risorse in linea con la nuova strategia di crescita EverGreen. Hibu, che attraverso Dibevit era stata acquisita nell’ottobre 2017, ha sviluppato durante questi quattro anni importanti sinergie con il Gruppo Heineken Italia, accrescendo il proprio know-how e ampliando il proprio network distributivo, rendendo così più conosciuti e fruibili i propri prodotti su tutto il territorio italiano. Contestualmente alla rimodulazione della propria strategia commerciale, Heineken Italia, insieme ai soci fondatori di Hibu Tommaso Norsa e Raimondo Cetani, hanno ritenuto che Hibu possa operare al meglio come un birrificio autonomo continuando a sviluppare i propri brand e linee di prodotto adattandosi alle dinamiche del proprio mercato di riferimento. Per questo, Hibu è stata ceduta con data effettiva 1 gennaio 2022 ai soci fondatori che negli ultimi cinque anni hanno gestito la società con grande imprenditorialità e indipendenza. L’accordo garantisce la continuità occupazionale, inoltre, la partnership fra Hibu e il Gruppo Heineken Italia continuerà grazie ad un accordo commerciale con Partesa, la quale nei prossimi anni distribuirà i prodotti di Hibu ai propri clienti di valore».