Su i consumi e la produzione di birra. Il canale Horeca ha recuperato e l’export tiene. Non mancano però le sfide derivanti, oltre che dal rincaro delle materie prime, dalla fiscalità e dalle avvertenze sui consumi di alcolici in etichetta
Nel 2022 il comparto birrario italiano ha addirittura superato i livelli pre-Covid. La produzione è arrivata a 18,4 milioni di ettolitri, in crescita del 3,3% rispetto al 2021e del 6,1% rispetto al 2019. Cresciuti anche i consumi, arrivati a 22,3 milioni di ettolitri, cioè + 6% 2022 su 2021 e + 5,1% su 2019, e toccato il record nel pro-capite, arrivato a toccare quasi i 38 litri. Nel 2022 si registra inoltre l’incremento della birra importata in Italia dai Paesi esteri, una crescita che ammonta al 10% ed è quindi decisamente più sostenuta rispetto a quella delle produzioni Made in Italy. Il mercato della birra si rivela quindi particolarmente dinamico e reattivo, in grado di fronteggiare le difficoltà che stanno interessando la situazione economica nazionale e internazionale. Prima di tutto il recupero dell’Horeca (+20,9% rispetto al 2021), che ha portato a un conseguente calo degli acquisti nel canale off trade dopo le importanti vendite del periodo pandemico. Durante la conferenza stampa di presentazione del Report, il presidente di AssoBirra, Alfredo Pratolongo, ha sottolineato alcuni interessanti trend.
Innanzitutto, un cambio di passo del consumatore italiano, che rivela una netta evoluzione: in questi ultimi anni, in un mercato prevalentemente composto da birre Lager, grazie all’innovazione e alla sperimentazione portate avanti da grandi e piccoli birrifici, è iniziato un percorso di crescita delle birre speciali, il cui segmento dal 2015 al 2022 è più che raddoppiato a volume (dal 7,42% al 15,37%). Questo aspetto ha influito positivamente anche sull’importazione del settore, cresciuta del 10% dal 2021. Anche l’export mostra aggregati di cui poter essere soddisfatti: ad appena un soffio dal record marcato nel 2021 (3,8 milioni di ettolitri contro i 3,9 dell’anno precedente), il dato è una chiara evidenza di come la produzione brassicola italiana sia sempre più popolare oltre confine, con consumi in crescita nel Regno Unito (48,2% dell’export complessivo contro 46,9% del 2021) e negli Stati Uniti (9,1% vs. 8,6%). Francia e Paesi Bassi (per il 4,3% ciascuno), Albania (4,2%) e Australia (2,7%) sono gli altri principali mercati per l’esportazione delle birre nostrane, sempre più percepite come eccellenze dell’agroalimentare Made in Italy. L’altro vantaggio di questa ventata di nuovo è la destagionalizzazione della birra, basti pensare a quelle di Natale, e la delocalizzazione che l’ha portata dai pub alle liste dei ristoranti stellati.
IL RISCHIO WARNING LABEL
La moderata gradazione alcolica della birra, rende ancora più evidente come la risoluzione approvata all’inizio del 2023 dall’UE, che ha permesso all’Irlanda di adottare etichette di avvertimento su vino, birra e liquori, risulti eccessiva per il nostro Paese, una decisione autorizzata nonostante i pareri contrari oltre che dell’Italia, della Francia, della Spagna e del Portogallo. «L’esempio italiano – sottolinea il presidente di AssoBirra – mostra con evidenza come cultura alimentare e stile di vita contribuiscano a un livello di consumo moderato assai più divieti o proibizioni». Da decenni i produttori di birra italiani hanno incoraggiato e agevolato tale tendenza con prodotti a basso tenore alcolico e di alta qualità. Inoltre, il comparto ha investito in campagne di consumo responsabile e in ricerca e innovazione anche nel segmento zero alcol, che nel 2022 ha sfiorato il 2% del mercato, crescendo del 24% rispetto al 2021 e del 37% rispetto al 2020. AssoBirra si è attivata a tutela del settore, prendendo parte attiva fin da subito al dibattito e a febbraio 2023 la Commissione Agricoltura della Camera ha approvato una risoluzione che impegna il Governo a ogni azione necessaria per tutelare i prodotti vitivinicoli e brassicoli italiani dalle warning label adottate dal Governo irlandese.
ACCISE: LA SPINA NEL FIANCO
Una delle proposte su cui sta lavorando più attivamente AssoBirra insieme alle altre
organizzazioni di categoria è una riduzione e stabilizzazione delle accise. In Paesi come Spagna e Germania, infatti, le accise per ettolitro non raggiungono i 10 euro a ettolitro, mentre in Italia superano i 34 euro. È tempo, per tanto, che il Governo adotti soluzioni che consentano una riduzione strutturale nel lungo periodo, quale unica strada per consentire alle imprese di tornare a investire, essere tutelate sui mercati internazionali, generare ricchezza per il Paese. Una sfida tanto più ardua in un quadro di costanti rincari di materie prime e utility, una tempesta di aumenti che ha impattato sul costo di orzo e frumento, sul vetro, sui costi logistici e non da ultimo sulle bollette di bar e ristoranti della penisola. A parità di valori di vendita rispetto al 2021, nel 2022 l’incidenza dei costi di materie prime ed energia sul valore della produzione è aumentata per i birrifici mediamente del 50%. Non possiamo dimenticare che il comparto birrario italiano occupa quasi 120 mila operatori in circa 850 aziende, crea un valore condiviso di 9,4 miliardi di euro (equivalente allo 0,53% del PIL) e soprattutto – unica fra le bevande da pasto – versa all’erario oltre 700 milioni in accise annue che si sommano alla contribuzione fiscale ordinaria.