Ricca e corposa. Amara al punto giusto. È lei, la Märzen, la grande protagonista della festa birraria popolare più famosa al mondo che il Coronavirus ha sospeso.
Per il secondo anno consecutivo, non si terrà l’Oktobefest. La festa birraria più famosa del mondo è stata annullata in passato solo in occasione di eventi tragici, come le Guerre Napoleoniche, le Guerre Mondiali e, ora, per la pandemia da Coronavirus.
Ma non vogliamo dimenticarci di questa bellissima occasione di celebrazione della birra, che cerchiamo di rievocare a modo nostro ricordando lo stile birrario, Märzen, protagonista dell’evento e dove possiamo gustarlo.
Come si può intuire dal nome, la Märzen veniva originariamente prodotta in marzo e il suo consumo si protraeva fino all’inizio dell’autunno. Birra a bassa fermentazione, prima dell’avvento dei frigoriferi era l’ultima birra che veniva brassata e bevuta lungo tutto il periodo estivo.
Quindi, quando parliamo di Märzen, parliamo di una birra storica, le cui origini risalgono allo stile Vienna, rispetto al quale si evidenziano alcune precise differenze, anche perché talvolta si parla di Märzen tedesche e, in altri casi, di Märzen austriache. Ecco cosa ci racconta con grande dovizia di particolari e alcuni gustosi aneddoti l’ingegnere Tullio Zangrando, uno dei maggiori esperti di tecnologia birraria nel nostro Paese. Classe 1933, laureato all’Università Tecnica di Monaco di Baviera-Weihenstephan, ha ricoperto importanti ruoli come dirigente di birrifici, tra cui quello del birrificio di San Giorgio di Nogaro (UD), oggi Birra Castello.
Märzen: un nome, due birre
di Tullio Zangrando
La Baviera e l’Austria hanno molto in comune: tradizioni che risalgono ai tempi della colonizzazione romana; la sconfitta del 1866 nella guerra delle sette settimane (per noi italiani, la Terza Guerra d’Indipendenza) contro l’alleanza italo-prussiana; un confine di circa 500 chilometri; il tedesco come lingua e l’elenco potrebbe continuare a lungo. Eppure, se si chiede una Märzen a Monaco di Baviera, la birra servita si avvicina allo stile Vienna, mentre a Vienna e in tutta l’Austria si gusta una tipica Lager. Due birre con caratteristiche completamente diverse, come risulta evidente dal confronto dei principali dati analitici, che hanno in comune soltanto il lievito a bassa fermentazione (ved. tabella). Risulta invece quanto siano simili la Märzen bavarese e la Vienna, al punto che il mio amico Horst Dornbusch in Beer Styles from Around the World, definisce la seconda “a Märzen-like brew” e infatti per la Märzen bavarese e la Vienna i limiti analitici minimi e massimi sono diversi, ma vi è anche un’ampia zona di sovrapposizione. Diciamo subito che una risposta plausibile e risolutiva a questo piccolo enigma linguistico-tecnologico nessuno degli esperti recentemente consultati è stato in grado di darla. Rimane misteriosa soprattutto l’origine della denominazione utilizzata in Austria. Ma le storie che si raccontano sulle Märzen e sulle Vienna credo siano meritevoli di esser raccontate perché non essendo universalmente conosciute, ci permettono di riandare a importanti momenti della storia della birra. Aggiungo che la Märzen è pure legata ad alcuni miei ricordi personali ed è proprio da questi che mi permetto di iniziare.
La Märzen austriaca
La mia prima Märzen la gustai infatti in Austria alla Villacher Brauerei, nel 1951, dove lavorai durante i mesi estivi come apprendista: era molto chiara, con un’amarezza appena percettibile, beverina, prodotta con una piccola percentuale di mais, con un contenuto alcolico di circa 4%. All’epoca, questa birra costituiva quasi tre quarti della produzione della maggior parte delle fabbriche austriache e ha tuttora un’importante quota di mercato, tanto da essere menzionata anche nella legislazione austriaca sulla birra. Nel mio quadernetto di appunti per meglio ricordare gli insegnamenti ricevuti dal signor Petschnigg, il vice-mastro birraio responsabile della mia istruzione e, soprattutto, di badare che il giovane apprendista italiano non commettesse sciocchezze, ho ritrovato l’etichetta qui riprodotta della Villacher Märzen. Ricordo anche che nel 1951 la retribuzione dei birrai nei reparti (apprendista compreso!) includeva ben 3 litri al giorno di birra Märzen gratis.
La Märzen dell’Oktoberfest
Sempre nello stesso anno, a fine settembre, poco prima che iniziassero le lezioni alla facoltà di tecnologia birraria all’Università di Weihenstephan, una visita all’Oktoberfest e la bevuta di quella Märzen furono una tappa obbligata dell’ambientamento in Baviera, una sorta di piacevolissima iniziazione. I pesanti ‘Mass’ da litro in ceramica grigia nei quali si serviva la birra non permettevano di vederne il colore. Così fu grande la mia sorpresa quando, al primo sorso, la percezione fu del tutto differente da quella che conservavo dalla precedente esperienza a Villach: la birra era più forte, corposa e dolce-aromatica dell’omonima austriaca. Mi spiegarono allora che era prodotta, in conformità con la Legge di Purezza Bavarese del 1516, solo con malti tipo Vienna, Monaco e Caramello scuro e che per distinguerla da quella reperibile tutto l’anno, gli intenditori la chiamano Oktoberfest-Märzen o anche Wies’n Märzen, dal Theresien-Wiese, dove si svolge l’Oktoberfest. Oggi, quasi tutte le fabbriche presenti offrono Märzen e i bicchieri in vetro permettono di apprezzarne il colore. La birra che bevetti nel 1951 aveva (come del resto tuttora) un contenuto alcolico ben superiore a 5%, caratteristici sentori maltosi-caramellati e si abbinava benissimo con qualsiasi pietanza, dalle salsicce con crauti allo strudel di mele con il quale conclusi quel mio primo Oktoberfest dopo il secondo boccale in ceramica grigia da litro (o fu il terzo?). Scoprii più tardi che il colore era fra l’ambrato e il tonaca di frate (praticamente come quello delle Vienna, ma tendenzialmente più scuro) e non il giallo paglierino della ‘mia’ Villacher, tipico delle Lager Hell: tutte caratteristiche che si ritrovano, con le piccole differenze da una marca all’altra, anche nelle Märzen di oggi.
Vietato produrre in estate
Per cercare di capire l’anomalia dello stesso nome per due stili così diversi possiamo partire ricordando la Legge di Purezza, che vietava fra l’altro di produrre birra nei mesi più caldi, fra San Giorgio (23 aprile) e San Michele (29 settembre), quando ormai il ghiaccio naturale raccolto in inverno e utilizzato per raffreddare le cantine si era disciolto e il conseguente aumento di temperatura delle cantine poteva permettere il proliferare estivo di lieviti selvaggi e di altri microrganismi in grado di guastare e rendere imbevibile la birra. Allora, precauzionalmente, nelle ultime cotte, in marzo, i mastri birrai cambiavano ricetta, tenevano il grado più alto e dosavano il luppolo senza parsimonia: così la birra risultava più stabile ed erano buone le probabilità che le scorte si mantenessero integre fino all’inizio dell’autunno. Questa birra, più alcolica, bevuta in ottobre come ultima della stagione precedente, era come ovvio particolarmente apprezzata e si consolidò così, in Baviera, la denominazione Märzen. Denominazione mantenuta anche dopo che, partendo con il primo impianto frigorifero (messo in esercizio alla Dreher di Trieste nel 1876 dal professor Linde del Politecnico di Monaco di Baviera), l’utilizzo del ‘freddo artificiale’ si diffuse nelle birrerie di tutto il mondo e non fu più necessario accumulare scorte di birra più forte per superare l’estate senza troppe preoccupazioni.
La Vienna
Ma torniamo ai tempi in cui le cantine erano raffreddate solo con ghiaccio naturale raccolto in inverno. Allorché nel 1841 Anton Dreher, ritornato a Schwechat, un sobborgo di Vienna, dal suo storico viaggio di studi in Inghilterra applicò le conoscenze acquisite per produrre la sua Schwechater Lager, che ebbe grande successo grazie non solo alla lunga stagionatura, ma anche per l’attraente colore ambrato conferitole dalle particolari modalità di germogliazione e torrefazione del malto. Con il passar dei decenni, e soprattutto dopo l’invenzione e il successo straordinario della Pils, il colore della Wiener Lager divenne sempre più chiaro. Come ha ricordato il giornalista birrario viennese Conrad Seidl, nella seconda metà del XIX secolo, proprio come conseguenza della crescente popolarità dello stile Pils, i consumatori si orientarono sempre di più verso le birre più chiare e i mastri maltatori e i costruttori degli essiccatoi fecero la loro parte per accontentarli, riuscendo a controllare meglio il colore del malto. A questa crescente preferenza del pubblico contribuì probabilmente anche, a partire dal 1875, l’avvento della filtrazione: più chiara è la birra e più facile è infatti verificare, nei bicchieri di vetro, la sua perfetta limpidità, segnale tranquillizzante di assenza di contaminazioni microbiologiche e dunque di gusto e aroma gradevoli. Con il passare degli anni si assistette dunque, nella Mitteleuropa, a un calo di popolarità delle ambrate, e la Vienna divenne uno stile di nicchia a sé stante, mentre, come già detto, in Baviera le birre ambrate continuarono a chiamarsi Märzen e a essere bevute prevalentemente in occasione dell’Oktoberfest. Si può inoltre supporre che a qualche birraio austriaco particolarmente fantasioso sia venuta l’idea di chiamare Märzen la propria ‘birra chiara standard’ non tanto perché prodotta nel mese di marzo, ma per accreditarla così di un livello qualitativo ‘premium’.
La rinascita
Mentre la Märzen (soprattutto in Baviera) ha costantemente mantenuto la sua quota di mercato, la Vienna, dopo il declino accennato sopra, ha (e ben meritatamente, considerate la sua gradevolezza e la sua ‘abbinabilità’) conosciuto una rinascita e non solo grazie ai microbirrifici artigianali soprattutto americani, che spesso preferiscono il nome Märzen, ma anche nella Mitteleuropa. Per citare solo due esempi, in Italia nel 1988 con la Moretti Rossa e in Austria, per merito di Andrea Urban, mastro birraio di Schwechat, che si è ispirato alla ricetta originale per lanciare la Schwechater Lager in occasione del 175° anniversario della prima produzione di Anton Dreher. Ricordiamo che all’Oktoberfest sono presenti soltanto le birrerie che hanno sede nel territorio comunale di Monaco di Baviera. Sembra che solo nell’edizione del 1895 fu in via eccezionale concesso alla Dreher di Vienna di essere presente con la sua birra di tipico colore ambrato. Oggi, l’antica ricetta di Anton Dreher è stata fatta rivivere e l’etichetta testimonia il complesso legame fra le tipologie Lager, Vienna e Märzen.
Andar per Biergarten a Monaco
Buona birra e atmosfera festosa. Non sarà come andare al Theresienwiese, ma per chi ama la birra le birrierie bavaresi all’aperto sono un appuntamento irrinunciabile.
Si dice che Monaco di Baviera abbia la più alta concentrazione di birrerie all’aperto. Qui, in perfetta sicurezza e in luoghi decisamente attraenti e confortevoli, sarà possibile gustare una Märzen o una Oktoberfest Bier oltre alle altre birre in assortimento, servite nella misura standard del boccale da litro.
I biergarten sono un’ottima occasione non solo per bere buona birra, ma anche per conoscere le tradizioni locali con le orchestrine che suonano le musiche popolari. Ci sono anche coloro che giocano a carte (giochi tipici Schafkopf e Watten) e non rari sono gli avventori che sfoggiano gli abiti tradizionali, i Dirndl (femminili) e i Lederhosen (pantaloni di pelle da uomo).
Esistono delle regole che è bene conoscere. Per esempio, ci si può accomodare a un tavolo se ci sono dei posti vuoti e, lo stabilisce addirittura un’ordinanza regionale, si può portare da casa il cibo, ma non nella zona servita, dove esiste un menu a disposizione con, oltre a piatti classici come l’Obazda (crema di formaggi e burro con cipolla e peperoncino) o il Steckerlfisch (pesce allo spiedo), le grigliate miste di hamburger, bistecche e costolette e, da qualche anno a questa parte, anche pietanze per vegani.
Il Königlicher Hirschgarten, con circa 8.000 posti, è la più grande birreria all’aperto di Monaco, se non del mondo. Qui è possibile trovare posto anche quando tutti i biergarten sono strapieni e, nonostante le dimensioni, è piuttosto tranquillo. Invece, solo 400 posti al Muffatwerk, che presenta un menu con proposte bio, vegetariane e vegane.
Il Taxisgarten, con i suoi circa 1.500 posti e panche con schienali, è piuttosto ‘intimo’. È poco frequentato da turisti e da gruppi festaioli, quindi si dice che un’ora al Taxisgarten sia rilassante come una lezione di yoga. Da tenere in considerazione che servono mezze porzioni. L’Aumeister, nei pressi del Giardino Inglese, è spesso frequentato da escursionisti, ciclisti e gitanti. Vengono servite birre anche in boccali da 0,3 litri. In menu Hirtengriller, una salsiccia alla griglia con formaggio feta. Proprio nel Giardino Inglese troviamo invece il Seehaus, romantico con la sua vista sul lago, e, alla Torre Cinese, la birreria all’aperto più famosa della città: Chinaturm. Con circa 7.500 posti a sedere, è la seconda birreria più grande della città. Nel verde, sotto grandi castagni, anche il Hofbräukeller con i suoi circa 1.500 posti. Perfetto nelle ore più calde. Invece è in pieno centro, nel cuore del Viktualienmarkt, la birreria all’aperto più affollata e colorata, ideale per una pausa durante lo shopping nella zona pedonale. Qui le birre alla spina dei sei grandi birrifici tradizionali di Monaco si alternano ogni cinque settimane. Il biergarten più internazionale è l’Augustiner Keller, 5.000 posti in posizione centrale. I tifosi del calcio qui possono seguire le partite.
È nei pressi del Theresienwiese la Wirtshaus am Bavariapark. Tutti quelli che la conoscono ne sono entusiasti: vi si respira l’aria dell’Oktoberfest tutto l’anno. Con circa 1.200 posti a sedere, ha una dimensione confortevole e si rivela un luogo di incontro popolare dopo il lavoro. In menu, l’Obazda con cipolle rosse.
Paulaner Nockherberg non vale la pena di essere visitato solo per il giardino della birra da libro illustrato. Situato tra i castagni, brilla in un nuovo splendore dopo la ristrutturazione e offre un’atmosfera da street food con costine, hamburger e altre specialità di carne. Situata in mezzo ai prati dell’Isar, la birreria Flaucher ha un grande parco giochi. È perfetta per una bella gita con bambini e cani. Inoltre, chi cerca un grande classico con note chic, ecco la Waldwirtschaft Großhesselohe. Si trova sull’Isarhochufer e offre una vista mozzafiato. Qui si trova musica dal vivo con una jazz band che cambia settimanalmente. Molto ampio il menu, in cui troviamo specialità come le costolette o gli hamburger di Wagyu (pregiata carne giapponese).
Infine, sempre nel mezzo del Giardino Inglese, la Mini-Hofbräuhaus, conosciuta come la “dog beer garden”. I cani sono i benvenuti nella maggior parte delle birrerie di Monaco, ma la Mini-HB è probabilmente la più adatta ai cani. Originale anche il Backstage night beer garden, arredato con mobili da salotto e sedie a sdraio, e la possibilità che qui si possa portare e cucinare la propria carne.