Il mercato della birra non è mai stato così dinamico e affascinante. La riscoperta di stili birrari che sembravano destinati all’oblio, le nuove tipologie emerse sia negli Stati Uniti sia in Europa, la moltiplicazione dei birrifici e la moltiplicazione delle etichette da parte di tutti i birrifici, storici e recenti, ha avuto come conseguenza la nascita di una nuova tipologia di consumatore, per certi versi una generazione di nuovi consumatori. Consumatori più consapevoli e più curiosi, ovvero da un lato maggiormente a conoscenza di ingredienti e caratteristiche e dall’altro maggiormente interessati a tutto ciò che arriva di nuovo alle spine del pub o nelle sue frigovetrine.
Frequenza “più rapida”
Se un tempo la sete di novità si placava con le classiche e tradizionali “birre di stagione”, le tendenzialmente più forti birre di Natale o le profumate birre di Pasqua per non parlare delle famose Oktoberfestbier, oggi le novità mantengono di stagionale il nome ma non certo la frequenza. Che, per l’appunto, è molto più rapida di un tempo. Ecco quindi che saper gestire un locale birrario in questi anni richiede la capacità di selezionare nuovi prodotti, dare il cambio alle spine o almeno a una parte di esse, essere pronti a introdurre nuove etichette. Questo per poter mantenere sempre vivo l’interesse della propria clientela.
Un compito non facile o per lo meno più difficile da svolgere rispetto al passato, ma che tuttavia è affrontabile se si ha un partner in grado di garantire novità costanti e qualità sempre indiscussa.
Le novità
Un’azienda come Dibevit Import ha negli ultimi anni allargato enormemente il proprio catalogo, andando a pescare birrifici di fama internazionale come la californiana Lagunitas, realtà emergenti in Irlanda, come McGargles, In Inghilterra come Beavertown e in Italia, come il Birrificio Hibu, e mantenendo sempre una forte attenzione sull’inesauribile Belgio. Questa strategia ha permesso a Dibevit di offrire, a cadenza periodica ma in maniera costante, delle birre “stagionali”.
Come, ad esempio e mentre state leggendo queste righe, la Lagunitas Sucks, spettacolare Double Ipa da 8% vol e dal colore dorato con riflessi ramati. La categoria Double Ipa fa capire subito che il luppolo gioca un ruolo dominante nel profilo organolettico e infatti il dry hopping a base di Chinook, Simcoe, Apollo, Summit e altri, si fa sentire eccome regalandole note impattanti di pino, agrumi ed eucalipto. Ma il corpo rotondo e solido a base di orzo, segale, frumento e avena mantengono l’equilibrio e “l’ancoraggio”. La sensazione, insomma, è come quella di stare su un ottovolante: un’adrenalinica sicurezza. Disponibile sia in fusto da venti litri sia in bottiglia da 35,5 cl (il formato americano classico), la Sucks è un’esperienza aromatica da provare, la prima volta, senza abbinamento alcuno. Volendo si scopre tuttavia che si sposa alla perfezione con arrosti o grigliate di maiale e con cibi piccanti d’ispirazione messicana.
Solo in fusto
Sempre luppolatissima, e questa volta disponibile solo in fusto da 30 litri, ma meno “effetto wow” rispetto alla Sucks è questa Ipa degli irlandesi McGargles. La loro Francis’s Big Bangin Ipa non si fa dimenticare presto con i suoi 7,1% vol. L’ispirazione è sempre la West Coast californiana ma il malto d’orzo è unico, il rinomato Maris Otter inglese, e i luppoli sono tre, ovviamente giocati in dry hopping per un sorso ricco di profumi e gusto ma anche snello e adatto all’aperitivo. Il cibo da pub come toast, burgers, piadine o taglieri di salumi e formaggi si prestano bene tutti ad accompagnare la seconda pinta; volendo a tutti i costi avere un piatto sotto gli occhi valgono gli abbinamenti pensati anche per la Sucks, osando però in aggiunta anche qualche primo piatto italianissimo come le lasagne al forno o una parmigiana di melanzane.
«Dibevit Import – ci spiega Davide Daturi, amministratore delegato della società – ha sempre avuto nel proprio Dna la caratteristica di puntare ad avere un portafoglio ampio di birre da offrire ai locali. In altre parole, Dibevit è nata proprio per questo scopo ovvero diffondere la cultura della birra attraverso un portafoglio il più ampio e rappresentativo possibile. Sia per quanto riguarda il Paese d’origine della birra stessa sia per quello che riguarda lo stile birrario. Per riuscire a farlo è sempre stato necessario mantenere un rapporto stretto e costante con i produttori, seguirli sulla strada della diversificazione e del loro naturale desiderio di sperimentazione che, obbiettivamente, in questi anni è molto cresciuto in tutto il mondo grazie soprattutto all’affermazione sul mercato di nuovi birrifici, che hanno inoltre stimolato anche quelli più storici, e alla “nascita” di un nuovo modello di consumatore». Diversificazione e sperimentazione si traducono dunque in un numero esponenziale di birre diverse e per ogni occasione. Ben oltre la tradizionale “stagionalità”. E non sfruttare la loro presenza sul mercato è un errore che non è davvero il caso di commettere.