Ieri oggi e domani: la birra in Italia

Eccoci all’ultima puntata del viaggio nel mondo italiano della birra intrapreso con il racconto di Tullio Zangrando, decano del comparto nel nostro Paese. In questo numero parliamo di futuro

Da una recente indagine di mercato dell’istituto di ricerca SWG «la birra rappresenta molto più di una semplice bevanda alcolica, caratterizzandosi come un prodotto di crescente consumo, tipicamente associato allo svago spensierato e all’artigianalità e che vanta nel sentito popolare un’aura di storia e tradizione»: un risultato che quando uscì il primo numero di questa rivista sarebbe stato inimmaginabile. Mi sembra che ne possano essere soddisfatti tutti gli operatori del settore: grandi e piccoli produttori di birra, fabbricanti di materie prime e di attrezzature e pure i tanti che hanno nei più svariati modi contribuito allo sviluppo della cultura della birra. Tra i segnali positivi per il futuro del comparto birrario italiano dobbiamo contare l’entrata in funzione nel 2026 della nuova Malteria a Loreo, in provincia di Rovigo, con l’aumento della produzione di orzo nazionale e tutte le conseguenti positive ricadute (ved.box). Non mancheranno tuttavia altre sfide. Innanzitutto, quelle provocate dai cambiamenti climatici e socio-politici. In particolare, come detto da Antonio Massa, titolare del Birrificio Valdarno Superiore, la sostenibilità dei microbirrifici italiani in futuro sarà condizionata anche dallo sviluppo di filiere territoriali per la produzione del malto e del luppolo, che permetteranno di lanciare birre locali, dedicate ai loro territori, e trovare nel turismo brassicolo quel sostentamento economico fondamentale per la loro esistenza. Inoltre, penso ai progressi nella tecnologia di produzione di birra analcolica, per renderla accessibile anche ai birrifici più piccoli. Mi permetto a questo punto di rischiare due previsioni: l’aumento della quota di birre a basso contenuto alcolico e la diminuzione della quota di bottiglie a perdere, con incremento del ”vuoto a rendere”, che già oggi domina nei Paesi “frugali”.

Infine, secondo Chiara Andreola, giornalista e biersommelière, ormai i birrifici artigianali italiani si avviano a una “maturità” di cui già vediamo i segni: sono passati i tempi in cui «la birra si vendeva da sola, purché interessante» e bastava l’impiego di una delle tante nuove e affascinanti varietà di luppolo sviluppate negli ultimi decenni per produrre una birra – possibilmente “strana” – di successo. Accanto alla qualità del prodotto serviranno strategie aziendali adeguate, sia per la gestione interna che per il marketing, e figure professionali ben preparate.  Concludo con un duplice augurio: innanzitutto, di una sempre più stretta collaborazione fra birrifici grandi e piccoli e fra mastri birrai artigianali e industriali (anche qui altri Paesi sono più avanti di noi) e…che i futuri progressi possano essere sempre accompagnati e illustrati da Il Mondo della Birra! 

QUESTIONE DI MALTO

A fronte di una produzione nazionale di birra di oltre 17 milioni di ettolitri, l’Italia rivela un fabbisogno di malto di 208mila tonnellate mentre allo stato attuale la produzione è molto meno della metà, cioè pari a 83mila tonnellate, per la maggior parte proveniente dalla Saplo di Pomezia, in provincia di Roma, e da K-Adriatica di Melfi, in provincia di Potenza. Quindi noi importiamo 125mila tonnellate all’an-no per produrre nei nostri birrifici. Ma in futuro potremmo aspirare ad aumentare considerevolmente la nostra capacità produttiva di malto. È in programma a Loreo la costruzione, con un investimento di circa 25 milioni di euro, di una malteria con una produzione di malto di 40.000 tonnellate. Si tratta di un impianto di ultima generazione, a elevato grado di automazione (4.0) ed ecosostenibilità. «Si attiverà un sistema integrato di stoccaggio e tracciabilità, monitorato da remoto, in collaborazione con le imprese/aziende agricole dell’indotto e della filiera» indicano da K-Adriatica, responsabile del progetto. Inoltre, è prevista una riduzione del consumo di acqua del 35% rispetto ad altre malterie italiane e verrà utilizzata solo energia da co-generazione. Ha spiegato Giovanni Toffoli, amministratore delegato di K-Adriatica: «Attraverso i contratti di filiera, che coinvolgeranno circa 800 imprese agricole del Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Marche, K-Adriatica arriverà a produrre circa 92mila tonnellate di malto da birra suddivisi tra Melfi e Loreo. La produzione di orzo italiano per la filiera della birra è un’opportunità per l’agricoltura anche con il recupero e la riqualificazione produttiva ed economica di aree agricole in fasce marginali.  L’impianto di Loreo rappresenterà un polo di sviluppo per il Polesine e vedrà il Veneto come regione di riferimento per il polo della birra del Nord Est».

UN FUTURO MENO ALCOLICO

Come abbiamo indicato anche nello scorso numero, la birra analcolica sta conquistando uno spazio crescente. L’incremento a volume nel solo canale GDO è stato dal 2015 al 2021 del 155% (dati IRI-Infoscan). È ipotizzabile che questo trend di crescita si confermi negli anni a seguire sia per l’attenzione salutistica sempre più marcata che per l’applicazione di sempre più severe norme per la guida. Dal canto loro i birrifici, industriali ma anche artigianali, già forniscono adeguate risposte con prodotti dalle qualità organolettiche sempre più elevate, molto simili a quelle dei prodotti alcolici, e caratterizzate da ingredienti che danno luogo a birre innovative e interessanti.

Il fenomeno della birra artigianale, che ha visto triplicare i birrifici in Italia negli ultimi dieci anni, ha fatto salire la domanda di materie prime 100% Made in Italy, tra cui il luppolo. Italian Hops Company, fondata nel 2014, è stata la prima azienda in Italia a occuparsi di produzione e commercializzazione di luppolo. «Quando abbiamo iniziato la nostra attività, nessuno coltivava luppolo in Italia a fini commerciali – indica il fondatore e titolare Eugenio Pelliciari – oggi siamo arrivati a 30/40 ettari, di cui 20 dalla nostra rete di coltivatori distribuiti in Emilia-Romagna, Veneto, Lazio e Abruzzo.  Si tratta di 12-13 varietà principalmente importate dagli USA, ma anche da Germania e Slovenia. Abbiamo avviato anche una coltivazione di varietà autoctone, per l’esattezza 3, ma si tratta ancora di coltivazioni che necessitano di studi approfonditi di genetica». Quali le prospettive di questo mercato? «La richiesta esiste, quindi di base prospettive concrete ce ne sono, ma parliamo di un tipo di coltivazione che richiede investimenti importanti per gli impianti e soprattutto per i processi di lavorazione post-raccolto. Contiamo che è un mercato che richiede, al contrario di altre coltivazioni, una lavorazione affinchè il prodotto divenga disponibile per il cliente, rappresentato dai produttori di birra». In modo particolare, essiccazione ed imballaggio sono indispensabili per garantire ai produttori di birra la massima qualità del luppolo (per sua natura rapidamente deperibile) al momento dell’impiego sia in ebollizione che in dry hopping.