Cambia il clima, cambia la birra

Prezzi di orzo e luppolo in aumento. Variazioni nelle rese e nelle caratteristiche organolettiche.  Il climate change minaccia anche  il mondo birrario

di Giuliana Valcavi

Secondo un recente rapporto FAO, l’incidenza annuale delle calamità è triplicata rispetto agli anni’70 e ’80 con importanti ripercussioni sull’agricoltura a livello globale e le materie prime per la produzione di birra non ne sono esenti.

A partire dall’orzo. Con l’aumento delle temperature e le notevoli variazioni delle precipitazioni, può diventare più difficile coltivare orzo di alta qualità in alcune regioni. Nello specifico, il caldo anticipato e le seguenti gelate indeboliscono l’orzo, portando a una diminuzione della disponibilità e della qualità del cereale. L’agenzia stampa AGI ha indicato che nel 2022 per il global warming si è avuto un calo della produzione di orzo a livello mondiale del 16% e, fra tempeste di grandine e alte temperature, il raccolto dell’orzo italiano destinato ai birrifici artigianali agricoli, secondo il Consorzio Birra Artigianale, è diminuito del 15%. Nel nord Italia la resa è passata dai 40 quintali per ettaro del 2022 ai 34 quintali del 2023.

Il luppolo

Anche la coltivazione di luppolo risente delle variazioni di calore e di precipitazioni. Per crescere correttamente, il luppolo ha bisogno di un intervallo di temperatura e di un livello di umidità specifici. I cambiamenti climatici possono alterare queste condizioni, portando a rese inferiori e a un luppolo di qualità più scadente. In particolare, secondo una ricerca apparsa su Nature nel 2018, i caldi improvvisi portano alla fioritura anticipata e conseguenti gelate fanno perdere alla pianta le proprie caratteristiche. I ricercatori prevedono che i raccolti di luppolo nelle regioni europee diminuiranno, come riportato dal Guardian, tra il 4% e il 18% entro il 2050 se gli agricoltori non si adatteranno al clima caldo e secco, mentre il contenuto di alfaacidi nel luppolo, che conferisce alle birre il loro sapore e aroma caratteristici, diminuirà del 20-30%. I ricercatori hanno confrontato la resa media annua del luppolo aromatico nei periodi 1971-1994 e 1995-2018 e hanno riscontrato “una significativa diminuzione della produzione” di 0,13-0,27 tonnellate per ettaro. A Celje, in Slovenia, si è registrato il calo maggiore (-19,4%) della resa media annuale del luppolo. In Germania, il secondo produttore di luppolo al mondo, le rese medie di luppolo sono diminuite del 19,1% nello Spalt, del 13,7% nel Hallertau e del 9,5% nel Tettnang. Per far fronte all’aumento delle temperature e alla diminuzione delle precipitazioni, alcuni coltivatori di luppolo hanno spostato le coltivazioni ad altitudini più elevate e in aree di coltivazione con maggior approvvigionamento idrico e hanno modificato la distanza tra i filari.

Per quanto riguarda nello specifico l’Italia, Consorzio Birra Italiana e Coldiretti hanno recentemente comunicato un crollo della produzione di luppolo con un calo del 20% nel 2023 a causa del maltempo che, fra eventi estremi come nubifragi e alluvioni e temperature impazzite hanno tagliato le rese sui circa 100 ettari coltivati nel nostro Paese mettendo a e rischio il futuro della birra artigianale. Le varietà più diffuse in Italia sono Cascade, Chinook e Comet. Nubifragi, tornado, bombe d’acqua, grandinate con esplosioni di maltempo violento intervallato da ondate di calore africano hanno tagliato le produzioni agricole in un 2023 che – sottolineano Coldiretti e il Consorzio – si classifica come l’anno nero dell’agricoltura italiana con danni che superano i 6 miliardi di euro. Effetti della tropicalizzazione del clima che hanno colpito le coltivazioni di luppolo nazionale concentrati in particolare in Piemonte, Emilia Romagna, Friuli, Veneto, Lombardia, Umbria e Abruzzo, ma con campi sperimentali anche in Sicilia e Sardegna con l’aumento +64% delle superfici coltivate negli ultimi cinque anni.

L’acqua

Seri problemi possono riguardare anche l’acqua, il principale ingrediente della birra. I cambiamenti climatici possono portare a cambiamenti nella disponibilità quantitativa dell’acqua e nella sua qualità. Siccità, inondazioni e altri eventi meteorologici estremi possono influenzare l’approvvigionamento idrico, rendendo più difficile la produzione di birra conforme agli standard qualitativi. Quindi, il risparmio idrico da qualche anno impegna i maggiori birrifici: rispetto al 2010, Heineken ha indicato di aver tagliato i consumi di acqua del 44% grazie a “significative modifiche nell’iter di produzione”.

Le risposte

Tutti questi fattori possono contribuire a diminuire la disponibilità e la qualità della birra e ad aumentarne i costi di produzione. Di conseguenza, l’industria del settore sta iniziando a prendere sul serio i cambiamenti climatici e sta esplorando modi per adattarsi alla nuova e preoccupante situazione climatica. Innanzitutto, per proteggersi dagli aumenti dei prezzi, diversi birrifici hanno stipulato contratti pluriennali con i propri fornitori, assicurandosi così prezzi fissi. Inoltre, numerosi esperti di agronomia e scienza del clima, di scienza alimentare ed economia stanno studiando i potenziali effetti del cambiamento climatico sulla produzione di birra ed esistono organizzazioni, come la Brewers Association e la Sustainable Agriculture Initiative, che stanno valutando in che modo è possibile affrontare l’impatto del cambiamento climatico sulla produzione di birra e quali pratiche sostenibili promuovere nel settore.

«È possibile selezionare elementi come la tolleranza al gelo o alla siccità. Anche le malattie stanno cambiando a causa dei cambiamenti climatici» ha detto Paul Mitchell, professore di economia agricola e applicata presso l’UW Madison e membro del gruppo di lavoro della Wisconsin Initiative on Climate Change Impacts Agriculture, che sta ricercando modi per aumentare la resilienza dell’agricoltura ai cambiamenti climatici attraverso diverse tecniche di selezione. Tra le priorità, la stabilizzazione di colture di orzo con un’elevata tolleranza alla siccità. Dabo Guan, economista all’Università di East Anglia a Norwich, nel Regno Unito ha elaborato un modello matematico che prevede gli effetti del cambiamento climatico sulla produzione di orzo e come questi influenzeranno l’offerta e i prezzi. Secondo Nature Plants, in futuro la birra potrebbe diventare scarsa e costosa soprattutto per effetto dei periodi di siccità e di calore che incidono notevolmente sulla crescita dell’orzo. Se la temperatura aumenta costantemente a causa del riscaldamento globale, il prezzo della birra potrebbe raddoppiare in futuro e addirittura quadruplicare in alcune parti del mondo. Secondo Consorzio Birra Italia, se nel 2019 alla Borsa Merci di Bologna una tonnellata di orzo costava 172 euro, nel 2022 è balzata a 328 euro.

Settori concorrenti

È chiaro che il mondo ha altre preoccupazioni oltre al prezzo della birra e «se le temperature continueranno a salire, il prezzo della birra sarà l’ultimo dei nostri problemi» afferma Walter König, direttore generale della Braugersten-Gemeinschaft (l’associazione tedesca dei produttori d’orzo), che sottolinea quanto la produzione di birra in Germania, in virtù della Legge di Purezza, dipenda dall’orzo, che non può essere sostituito. Quando l’orzo diventa una risorsa scarsa sul mercato, chi paga il prezzo più alto si aggiudica l’acquisto. E qui i produttori di birra hanno un concorrente piuttosto forte: l’industria dei mangimi (solo il 17% dell’orzo mondiale, quello di migliore qualità, viene impiegato nella produzione di birra, mentre il resto è in gran parte riservato all’alimentazione animale). La crescita della popolazione mondiale – riportava ancora nel 2018 il Suddeutsche Zeitung – sta aumentando la domanda di carne. Inoltre, la crescente prosperità dei Paesi emergenti fa sì che si consumi più carne e che quindi si debbano somministrare più cereali. Per un produttore di birra della Franconia, ciò significa che se la Cina acquista grandi quantità di orzo da foraggio sul mercato mondiale, il prezzo dell’orzo da malto aumenta automaticamente.

Calo dei consumi

A lungo termine, a causa del rialzo dei prezzi, uno studio della Braugersten-Gemeinschaft prevede che un tedesco berrà da 18 a 63 bottiglie da mezzo litro in meno all’anno a seconda che si ipotizzi un aumento della temperatura minimo o massimo. Attualmente, un tedesco consuma circa duecento bottiglie di birra da 0,5 all’anno ovvero dieci casse. Nel caso estremo, il consumo si ridurrebbe quindi di tre casse. Lo studio si basa sulle previsioni attuali relative all’economia globale, alla tecnologia, alla crescita della popolazione e alle abitudini alimentari e fa riferimento ai dati del gruppo intergovernativo tedesco di esperti sul cambiamento climatico, che prevede l’evoluzione del clima fino al 2099 in vari scenari.

«I bevitori di birra vedranno sicuramente l’effetto del cambiamento climatico sia nel prezzo che nella qualità» ha dichiarato Miroslav Trnka dell’Istituto di Ricerca sul Cambiamento Globale dell’Accademia delle Scienze Ceca e coautore dello studio pubblicato sulla rivista Nature Communications. Oltre a incidere sui costi di produzione della birra, i cambiamenti climatici possono incidere sul gusto del prodotto. Col cambiamento climatico il contenuto proteico di grano e orzo è aumentato, il che rende difficile produrre birre con lo stesso colore e lo stesso corpo a cui siamo abituati. In parallelo, le problematiche con le coltivazioni di luppoli possono incidere nel gusto della birra, che negli ultimi anni è stata fortemente condizionato da una ricerca di profili aromatici più distintivi e intensi, messi a forte rischio dalle modificate condizioni climatiche.

Fonte: Consorzio Birra Italiana

LUPPOLO IN IDROPONICA

Le coltivazioni in idroponica indoor sono la risposta sostenibile alle problematiche dettate dal cambiamento climatico ai coltivatori di luppolo sperimentata da una startup spagnola, Ekonoke. Queste coltivazioni non solo hanno una resa pari a quella delle coltivazioni all’aperto (circa 1 kg per pianta), ma sono anche più ricche di oli essenziali e di alfa acidi che conferiscono alla birra l’importante sapore e aroma amaro. Inoltre, i metodi di Ekonoke, che rimangono un segreto strettamente custodito, utilizzano 15 volte meno acqua rispetto alle tradizionali coltivazioni all’aperto ed essendo in condizioni strettamente controllate non necessitano di pesticidi. In totale, quindi, vantano un’impronta di carbonio complessivamente 15 volte inferiore rispetto alla coltivazione in campo.  Ines Sagrario, cofondatrice dell’azienda, in un’intervista al Guardian ha dichiarato, citando un rapporto di ricercatori della Repubblica Ceca che ha analizzato la qualità e la quantità di luppolo coltivato in diversi Paesi europei per un periodo di 40 anni: «Hanno visto che quando si verificano due più eventi meteorologici estremi, l’impatto è enorme sia sulla qualità che sulla quantità. L’anno scorso, ad esempio, in Germania, dove le temperature hanno raggiunto anche i 38°C, la produzione media di luppolo per ettaro è diminuita del 28% e in alcune zone si è perso l’80% del raccolto. Inoltre, il luppolo sopravvissuto era di scarsa qualità». Il progetto di luppolo idroponico di Ekonoke ha attirato l’interesse di importanti aziende birrarie come AB InBev, il più grande produttore di birra al mondo, con cui ha avviato un progetto di collaborazione. Il metodo di Ekonoke consente di ottenere una resa di luppolo per ettaro 40 volte superiore rispetto alla coltivazione all’aperto e quindi potrebbe liberare enormi quantità di terreno per la rigenerazione del suolo o la riforestazione.

LA RICERCA IN ITALIA

Di strategie e metodi innovativi di coltivazione più resilienti e produttivi, anche alla luce dei cambiamenti climatici, se ne è parlato al convegno “Orzo distico da birra: la filiera virtuosa da sostenere” organizzato a Loreo (Ro) da K-Adriatica Spa – Italmalt, Coldiretti Veneto e Consorzio Birra Italiana. «Da anni – ha indicato Teo Musso, presidente del Consorzio Birra Italiana – si parla di cambiamento climatico, ma negli ultimi cinque ne osserviamo gli effetti diretti sulla filiera agricola della birra. In generale tutte le materie prime, ma soprattutto la produzione di cerali ne sta risentendo con rese per ettaro calanti». Nel 2023 la resa media di orzo da birra nazionale è stata di circa 4,3 tonnellate per ettaro, in calo rispetto all’anno scorso in cui ha raggiunto le 4,5 tonnellate per ettaro. L’Italia produce circa un terzo del malto utilizzato nella produzione birraria nazionale e la nostra filiera, ha spiegato Giovanni Toffoli, CEO di K-Adriatica, grazie ai decaloghi di produzione sta abbracciando sempre più i concetti di economia rigenerativa, andando oltre il concetto di sostenibilità. Si propone, infatti, non solo di gestire in modo efficiente le risorse impiegate, ma di ripristinare e rigenerare

i terreni, in particolare le aree marginali, grazie alla grande adattabilità dell’orzo e come alternativa alla monocoltura, superando in questo modo la mera mitigazione degli impatti negativi. «Sostenere lo sviluppo della filiera dell’orzo da birra italiano significa non solo ridurre i costi ambientali delle importazioni – ha dichiarato Giovanni Toffoli – ma anche e soprattutto promuovere attivamente la rigenerazione degli ecosistemi coinvolti, sia a livello agricolo, con tecniche agronomiche innovative e sistemi di affiancamento alle decisioni che supportano gli agricoltori durante tutto il ciclo colturale, che a livello sociale con la creazione di nuovi posti di lavoro anche grazie al progetto della nuova malteria che realizzeremo a Loreo. Un progetto altamente tecnologico per produrre malto da birra a impatto zero, sfruttando le più moderne soluzioni di risparmio energetico utilizzando e fonti rinnovabili». «In questo scenario – ha spiegato Antonio Catalani, direttore di K-Adriatica

– laddove i grandi gruppi mondiali si tutelano creando centrali di acquisto per garantirsi le quantità necessarie di malto per le loro produzioni, l’Italia deve a sua volta implementare delle strategie di gestione del rischio per sostenere la filiera dell’orzo da birra. Ad esempio, pianificando schemi e strumenti assicurativi collegati agli indici meteorologici (WIBI – Weather Index-Based Insurances), che da soli non sono però sufficienti

a garantire un equilibrio economico agli agricoltori. Per questo si rende necessaria l’istituzione a livello nazionale di fondi di mutualità per la stabilizzazione del reddito ed essere sempre più rigidi nella corretta gestione agronomica delle colture».

A far fronte alla difficile situazione, si mettono in pista ricerca genetica e varietale, agricoltura 4.0 di precisione e sostegno alla coltivazione con attenzione rivolta alla sostenibilità ambientale. Paolo Passaghe, dottore di ricerca Scienza degli alimenti dell’Università di Udine, sta lavorando a un progetto di ricerca condotto da Stefano Buiatti, docente di Tecnologia del malto e della birra dell’Università degli Studi di Udine: «Sono stati individuati tre filoni di ricerca, e cioè la conduzione di prove di maltazione di un orzo distico nazionale, la valorizzazione dei cosiddetti ‘grani’ antichi e infine la formulazione di ricette con l’impiego di farine d’orzo prive di betaglucani». Con questa ricerca l’obiettivo è sviluppare produzioni di malto più resistenti ai cambiamenti climatici e quindi più sostenibili per l’ambiente e l’economia. Infine, nel corso del convegno Maria Rosaria Stile, responsabile R&D di K-Adriatica, ha presentato il decalogo per la coltivazione sostenibile dell’orzo distico da birra, una lista di principi guida per le scelte tecniche che gli agricoltori si trovano ad affrontare durante la coltivazione della coltura.